AIAB compie 25 anni: un compleanno senza una strategia nazionale
Il 2013 è un anno particolare per il biologico: dal mese di settembre Aiab organizzerà una serie di eventi per celebrare due decenni e mezzo di impegno sul fronte di un’agricoltura più pulita, in coincidenza con l’apertura del SANA, il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale di Bologna, che pure festeggia l’edizione numero 25 quest’anno.
Una storia, quella dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, iniziata ancora prima dalla sua costituzione formale, nel 1988. Le radici risalgono agli inizi degli anni Ottanta, quando le aggregazioni regionali che promuovevano l’agricoltura biologica danno vita alla commissione “Che Cos’è Biologico?” con lo scopo di discutere gli aspetti tecnici del metodo biologico e arrivare alle prime norme unitarie che poi sarebbero diventate parte del regolamento europeo. “All’inizio i produttori bio erano poche centinaia, ma i tempi per costituire l’associazione erano maturi. In quegli anni in tutta Europa, dove nel periodo precedente aveva prevalso la chimica, si è osservato un fenomeno comune: diversi agricoltori importanti hanno iniziato a convertirsi al biologico”, racconta l’attuale presidente di Aiab Alessandro Triantafyllidis.
I regolamenti europei, alla cui stesura ha partecipato indirettamente anche l’associazione, attraverso Ifoam (la Fondazione Internazionale per l’Agricoltura Biologica), sono arrivati nel 1991, mettendo l’acceleratore alla diffusione dell’organico: “Fino al 2000-2002 si è avuta una crescita esponenziale del numero di operatori, che negli ultimi dieci anni continuano ad aumentare, ma in modo più lento e strutturato”. E oggi, nonostante la crisi, tutti i dati sul biologico Made in Italy portano il segno più, a dimostrazione che in molti casi le famiglie non rinunciano ad alimenti più sani: “Gli operatori biologici certificati in Italia sono 49.709. Rispetto al 2011, sono aumentati del 3%, accanto ad una crescita di oltre il 6% della superficie agricola e dell’8% dei consumi”.
Ma se i numeri sono molto positivi, nel settore non mancano criticità, a partire dalla “mancanza di una strategia e di una politica nazionale”. Da qui, secondo il presidente di Aiab deriva una “crescita a macchia di leopardo, dovuta al fatto che i finanziamenti europei in Italia passano attraverso le amministrazioni regionali. Con una strategia opposta la Spagna è riuscita a superare il nostro paese per ettari coltivati a biologico”. Non potenziando l’offerta interna di prodotti, inoltre, “la domanda viene soddisfatta da importazioni di prodotti extra UE, che ancora oggi sono scarsamente controllati. Da questa situazione hanno origine le truffe di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi mesi”. E pensare che una strategia nazionale farebbe bene anche all’economia: “Funzionerebbe da motore di sviluppo per filiere locali e consentirebbe la sopravvivenza dell’agricoltura anche nei territori marginali. In Liguria per esempio, un’intera valle, la Val di Vara, è stata salvata dallo spopolamento grazie all’agricoltura biologica”.
Se nei primi anni l’associazione si è concentrata sulla definizione delle norme di produzione, organizzando anche un sistema di controllo e certificazione rimasto attivo fino al 2000, con il nuovo millennio ha sempre più assunto la veste di organizzazione di promozione sociale, culturale e politica. Le sue campagne degli ultimi anni si sono focalizzate sullo sviluppo di un nuovo modello agricolo, promuovendo le mense bio, i gruppi d’acquisto, i gruppi d’offerta dei produttori, i mercati, le fiere, le biofattorie didattiche, le aziende aperte, l’agricoltura sociale, i biodistretti, i marchi come il GaranziaAIAB.
Molte battaglie continuano, a partire da quella per un’applicazione nazionale della PAC che sia vicina il più possibile ai criteri di sostenibilità, “anche se siamo molto delusi dall’accordo raggiunto in Europa”. C’è poi la sfida degli Ogm, che tornano ciclicamente a far parlare di sé: “Il nostro Paese non fa l’unica cosa che dovrebbe fare e che chiediamo da sempre: varare la clausola di salvaguardia vietando le coltivazioni biotech sul suolo nazionale. Invece ci si continua a nascondere dietro decreti che vengono poi sconfessati a livello europeo, perché non hanno alcun fondamento”.
Ma anche sul fronte dei consumatori c’è ancora da fare: “Vorremmo contribuire a cambiare le loro abitudini, far capire alle persone che nel fare la spesa è necessario porre attenzione anche alla qualità dei cibi e dei territori, che devono ritornare a essere coltivati e a nutrire le persone”. E se il fatto che sempre più spesso sugli scaffali di supermercati e ipermercati si trovino prodotti biologici per Triantafyllidis è positivo, è necessario rendere più “umano” il modello della grande distribuzione: “Sarebbe importante dare visibilità al produttore, mentre il modo di presentare i prodotti nella GDO lo rende completamente anonimo. Una cosa illogica per il biologico, che invece punta sempre più sulla tracciabilità”.
Veronica Ulivieri