I 10 Demandamenti secondo Bergonzoni. Primo: pulisci tu per me
Funambolo sì, ma delle idee. Le parole sono strumenti, parti del tutto, come i mattoni per la casa. Come l’architetto che lavora sull’ambiente lo rende accogliente, così Alessandro Bergonzoni, comico dalle mille sorprese, costruisce meraviglia e stupisce con il pensiero. Lo abbiamo intervistato nel ruolo di esploratore dei confini, ospite della rassegna “Oltre i Limiti” organizzata dal Comune di Torino. Lo ritroveremo il 5 settembre tra gli ospiti più divertenti e interessanti del Festival della Letteratura di Mantova, con un libro di poesie, il suo primo, dal titolo “L’amorte”, crasi senza veli né sconti di amore e morte, per i tipi di Garzanti. E ancora, nel capoluogo sabaudo in novembre, dove l’attore porterà in scena l’ultima tappa del suo spettacolo “Urge”. Prima del nuovo lavoro, che uscirà a febbraio 2014.
D) Bergonzoni, se si parla di ambiente, cosa le viene in mente?
R) Nel mio ultimo libro, il primo di poesie, dico una frase a cui tengo: non sono uno scrittore, sono uno scritturato, non sono un autore, ma uno autorizzato. Quando pronuncio questa parola, ambiente, penso all’ambiente del pensiero, non alla terra, alla città, ma all’ambiente dell’anima che dobbiamo abitare, accogliere. Quando l’uomo lavora per la natura, lavora attraverso la sua anima, la sua trascendenza, poi questo lo conduce nei vari ambiti, nei vari luoghi. Muovendo dal pensiero ci si sposta altrove.
D) Spesso, però, il pensiero si trova scomodo nel mondo. Non c’è piena sinergia. Parlando di natura, pensiamo alle città inquinate. Chi di noi si può ritenere a suo agio nello smog?
R) E’ vero, ma è anche vero il risvolto della medaglia, che l’ambiente è quello che è perché c’è un ambiente interiore che deturpa il mondo. Troppe volte, nella politica, nel sociale, si parte dai luoghi fisici, e non da quelli interiori. Per me c’è la natura “inumana” e quella sovrumana, che è la parte nostra più alta ed è quella che ci potrà salvare, far rinascere di nuovo, per non avere più una natura umiliata e inquinata.
D) Cioè lei dice che ce lo siamo voluto e non c’è scampo all’autodistruzione?
R) E’ un cane che si morde la coda. L’ambiente fuori e’ ridotto in maniera devastante, qualcuno di noi, tutti compresi e conniventi, decide di distruggerlo perché non ha un ambiente interno che possa pensare altro. Chi cementa, distrugge, deforesta, rende l’animale già morto prima che nasca, non ha, non ha avuto nel passato, un habitat interno tale da pensare ad altre strade. E noi, tutti compresi nessuno escluso, ce ne siamo fregati. Io li chiamo i 10 Demandamenti, non Comandamenti: lava tu per me, pulisci tu per me, fallo tu per me, fai la legge tu per me, e via elencando. E’ come quando si parla di Costituzione”.
D) In che senso?
R) C’è chi dice che la Costituzione è bellissima, e io sono d’accordo. Ma parlare di come salvarla è inutile se manca la Costituzione interiore, il legislatore interno. Per esempio, citiamo la sicurezza stradale: sì, ci sono le regole, il regolamento esiste, ma dobbiamo andare nelle scuole a spiegarlo, raccontare il pericolo, fare vedere le immagini crude dei rischi. Bisognerebbe parlare alle pance delle madri incinte, dicendo al bambino sei tu il primo Ministro dell’Ambiente, il primo architetto, il primo ministro dalla Cultura, il primo ambientalista.
D) Se fosse lei il Ministro dell’Ambiente?
R) Unirei insieme Sanità, Lavoro, Ambiente, Arte e Cultura, Agricoltura. Finalmente abbiamo capito che sono interconnessi, almeno ambiente, lavoro, sanità. C’è voluta l’Ilva di Taranto a svegliarci. Farei tutti i giorni una tavola rotonda per dire che non si posso slegare questi aspetti, l’arte dalla salute dalla spiritualità dall’etica, anche se parliamo di etica quando ci portano via i risparmi, quando vediamo fiumi schiumanti. Sennò aspettiamo. I dieci Demandamenti, appunto.
D) Il suo paradiso e il suo inferno terrestre.
R) Ho ripescato la grande potenza del mondo da poco tempo. Dopo 22 anni, da 2 ho ricominciato a volare. Il luogo più importante per me è il cielo. Il mio paradiso, fatto di luce e sole, noi siamo fatti di energia. L’inferno non è un luogo geografico, ma il vuoto, la morte interiore. Quando parli non con una persona ma con un’ombra, uno sguardo morto. Persone che sono sicure che esista solo una scienza, la medicina, persone appartenenti alle tribù dei “ma va là”, dei “soltanto”, dei “macché”. C’è poi un inferno ancora: i CIE, certi ospizi di anzianità, le celle due metri per due in cui ci si sta in sei. Non sono più una galera interna, sono il luogo di tortura più alta.
Letizia Tortello