Zizola: “Le peggiori ingiustizie dove c’è violenza sull’ambiente”
Francesco Zizola, romano, classe 1962, di certo è uno che si sporca le mani. Nella sua lunga carriera ha fotografato le principali crisi e i conflitti più crudi nel mondo negli ultimi 25 anni. Ai margini della notizia, ha documentato l’Africa, l’Oriente e le guerre del Medio Oriente, il conflitto perenne tra la Palestina e Israele, che non è fatto solo di missili, bombe, kamikaze. Pluripremiato (con nove World Press Photo e quattro Picture of the Year International), è autore di numerosi libri, tra cui “Born somewhere” sulla condizione dell’infanzia in 27 paesi. Nel 2003 Henri Cartier Bresson include una sua fotografia tra le sue 100 preferite.
A Torino, al Museo di Scienze Naturali, rimarrà aperta fino al 16 giugno la sua personale. Un viaggio nel mondo attraverso gli occhi di chi soffre. Perché, come diceva Bulgakov, “la lingua può nascondere la verità, ma gli occhi mai”.
D) Zizola, per lei i paesaggi sono prima di tutto gli uomini dentro i paesaggi. Che rapporto c’è tra uomo e natura?
R) Già in passato ma sempre di più oggi è cresciuto il mio interesse specifico per la comprensione del dolore che muove da questa relazione. Quando c’è ignoranza e deliberata violenza applicata all’ambiente che ci accoglie, si scatenano le peggiori ingiustizie che mai potremmo immaginare. I soprusi, gli sfruttamenti, gli omicidi barbari.
D) Colpisce allo stomaco, guardando alcune delle sue foto, la scelta di documentare il conflitto arabo-israeliano attraverso la lente d’ingrandimento delle risorse idriche. Gli scivoli al parco giochi in Israele, la siccità totale 10 chilometri più in là.
R) E’ una delle delle storie più forti realizzate negli ultimi anni. Questa guerra tra uomini impone uno sfruttamento cieco delle risorse per motivi politici, a scapito della parte più debole della popolazione. Non è vero che di acqua ce n’è poca, la gestione politica univoca da parte del paese dominante, che in questo momento ha il potere di affermare con le armi sua supremazia, è criminale. Raccontare questa guerra significa fotografare le sproporzioni immense tra i due popoli. Immagini di ragazzi adolescenti felici e allegri al parco acquatico, per l’ora di nuoto dentro un insediamento occupato, considerato abusivo dalla comunità internazionale, e, poche decine di metri più in là, le cisterne blu sui tetti dei palestinesi per raccogliere i 50 litri alla settimana che è concesso loro di utilizzare. Le colture di watermelon, kiwi e uva, e la privazione totale.
D) Un esempio non isolato. Ci racconta dell’Africa, dell’ex Unione Sovietica?
R) Le relazioni distopiche tra gli uomini e l’ambiente sono un po’ ovunque. La miopia con cui, in tempi remoti, si guerreggiava per la produzione del cotone, con cui nell’ex Unione sovietica si versavano nell’acqua pesticidi tremendi nel lago d’Aral, che hanno ucciso i vegetali e stanno mettendo in ginocchio intere popolazioni, infilandosi persino nel latte materno, è un vero e proprio disastro ecologico. Anche la Cina finora ha avuto disprezzo per l’ambiente.
D) Ha qualche progetto sul nostro Paese?
R) Sto lavorando a un sopruso gravissimo che si consuma nel Mediterraneo. Il continuo progressivo pericolosissimo impoverimento della vita del mare, provocata dalla disattenzione verso i rifiuti, dallo sconsiderato prelievo delle specie ittiche, per soddisfare la grande industria globalizzata contemporanea del cibo. Non riflettiamo più su cosa mangiamo, seguiamo le mode, gli imput slegati dalla realtà. Il tonno pinna gialla è a rischio estinzione, con la sua carne pregiatissima, per soddisfare le tavole di coreani e giapponesi. Oggi i tonni sono pescati prima che arrivino lungo rotte della riproduzione conosciute fin dall’antichità, su commissione di società giapponesi e coreane. Con la totale impotenza della comunità dei pescatori, che iniziano a soffrire della mancanza di pesce. Pescati coi satelliti, i tonni vengono surgelati e diventano sushi venduti in Giappone per migliaia di dollari al chilo.
Letizia Tortello