I ministri europei raggiungono l’intesa sulla pesca, ora la palla passa al Parlamento
Al grido di “give fish a chance”, la scorsa settimana fuori dalla sede del Consiglio Ue a Bruxelles è andata in scena la protesta di diverse organizzazioni ambientaliste. L’occasione è stata quella del meeting su agricoltura e pesca che, soprattutto se quest’ultimo tema, ha tenuto impegnati i leader dei Paesi membri, tra i quali la neo ministra per le Politiche agricole Nunzia De Girolamo. Infatti, mentre sul marciapiede pescatori issati sopra ad un camion trasformato per l’occasione in una nave attiravano la curiosità dei passanti, all’interno dell’edificio era in corso il vertice dei ministri che dovevano, insieme, trovare un compromesso sulla riforma della Politica comune della pesca (PCP).
Dopo due giorni e una notte di discussioni, i negoziati sono finalmente giunti al termine. L’intesa, cui si è opposta solo la Svezia, prevede una riduzione progressiva al 5% dei “rigetti” in mare del pescato non commercializzabile rispetto al 7% precedentemente indicato. Si tratta di tutte le forma di vita marina pescate diverse dalle prede intenzionali, che vengono ributtate in mare. Sono considerati “scarti” e comprendono gli esemplari della specie ricercata la cui taglia non è conforme, più altre specie che non si mangiano o non hanno mercato, specie vietate o a rischio d’estinzione. Alcuni pesci, inoltre, sono rigettati unicamente perché il peschereccio non ha la licenza per portarli a terra, o perché non c’è spazio sull’imbarcazione.
La riforma del settore dovrebbe trovare applicazione progressiva a partire dal primo gennaio 2014, cominciando dalle specie oceaniche, mentre saranno in vigore per quelle del Mediterraneo e del Mar Nero solo dal primo gennaio 2017. Nel 2015 il divieto riguarderà le specie del Baltico, e da inizio 2016 quelle del mare del Nord e delle acque nord e sudoccidentali. Sono inoltre state previste alcune esenzioni: una autorizza i rigetti del 9% delle catture i due primi anni di entrata in vigore delle nuove norme, che nei due successi scende all’8% e poi al 7% nella fase finale. E’ stata inoltre introdotta la possibilità di usare comunque i pesci sbarcati per fini caritativi. Con l’obiettivo di garantire uno sviluppo il più sostenibile possibile delle attività economiche ad esso legate, la presidenza di turno irlandese punta a formalizzare l’accordo entro la fine di maggio. ”Spero di essere alla vigilia di un’intesa definitiva sulla riforma della politica della pesca” ha detto il ministro irlandese Simon Coveney. La palla passa ora al Parlamento Europeo. L’intesa raggiunta dal Consiglio dovrà, infatti, essere discussa dagli Eurodeputati che, fino ad ora, si sono sempre espressi in favore dell’introduzione di un divieto assoluto ai “rigetti” in mare.
Si tratta di una vittoria per le associazioni di ambientalisti che da tempo chiedono la fine di questa pratica per ripopolare le acque marine. Oltre alla questione dei rigetti, la riforma della pesca affronta anche la regionalizzazione e delle dimensioni delle flotte nazionali. Per la prima volta si tiene in considerazione la pesca artigianale che rappresenta l’80% dei pescherecci di meno di 12 metri e il 70% dei posti di lavoro.
L’ultimo Consiglio non si è, tuttavia, concentrato solo sulla pesca, ma i ministri hanno riflettuto anche sul futuro dell’agricoltura biologica europea. I ministri hanno dichiarato che ci vuole più ambizione in un settore dove la domanda supera ampiamente l’offerta. Il biologico per crescere, ha sottolineato il Consiglio, ha bisogno di chiarimenti e semplificazione e anche di essere incluso nelle attuali proposte di riforma della Pac, valutando se ci sono ulteriori possibilità di fornire sostegni finanziari. Con un punto fermo: il divieto assoluto di impiegare Ogm nelle produzioni bio. Il Consiglio europeo ricorda, infine, che ”la Commissione ha incluso nel suo programma di lavoro per il 2013 l’adozione di una proposta legislativa per la revisione del regolamento sulla produzione biologica”. All’esecutivo di Bruxelles i ministri hanno suggerito alcuni interventi precisi. Per esempio, la riduzione al minimo delle eccezioni nei regolamenti con più flessibilità nell’applicare le norme di produzione. Segue poi l’adozione di un sistema efficiente attraverso l’attribuzione univoca delle responsabilità e sanzioni armonizzate su tutto il territorio UE. Si invita, inoltre, a varare linee guida per garantire un’equa concorrenza e il corretto funzionamento del mercato interno dei prodotti bio. Migliorando i meccanismi per facilitarne il commercio internazionale e assicurando che le procedure d’importazione non creino svantaggi agli operatori europei. Valutando, infine, la fattibilità dei certificati d’importazione elettronici per rafforzare le procedure di controllo alle frontiere. L’ultimo suggerimento riguarda invece l’incoraggiamento al consumo bio anche tramite l’informazione on-line e campagne specifiche.
Beatrice Credi