SENza approvazione parlamentare. Il “colpo di mano” della strategia energetica nazionale
Il 14 marzo, dopo quasi venti giorni dalle elezioni e dopo quasi quattro mesi dalla fine della XVI Legislatura, i ministri uscenti dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, Corrado Passera e Corrado Clini, hanno presentato la versione finale della Strategia Energetica Nazionale (SEN).
Il documento, con le sue 139 pagine, intende delineare le scelte energetiche dei prossimi decenni, nonostante l’orizzonte di riferimento esplicitato chiaramente sia solo il 2020, che, specie per il settore energetico, non può certo dirsi un lungo periodo. La Strategia si prefigge quattro obiettivi: riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energia. Per raggiungerli, sono state fissate sette priorità: promozione dell’efficienza energetica, promozione di un mercato del gas competitivo, con l’opportunità di diventare il principale Hub sud-europeo, sviluppo (economicamente) sostenibile delle energie rinnovabili, sviluppo di un mercato elettrico pienamente inserito in quello europeo e con la graduale integrazione della produzione rinnovabile, ristrutturazione del settore della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti, sviluppo (ambientale) sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, modernizzazione dei processi decisionali con l’obiettivo di renderli più efficaci e più efficienti.
Non solo, quindi, un voluminoso documento ma un’iniziativa dalle enormi potenzialità, che però ha fatto ben poco notizia. Certo, in questi giorni ben altri fatti saturano gli spazi informativi. Tuttavia, gran parte del poco interesse può essere spiegato con l’incertezza sugli effetti concreti di questa iniziativa evidentemente giudicata fuori tempo massimo. Una sorta di “colpo di mano”, un atto illegittimo da parte di un governo in carica solo per gli affari correnti, è stata la prima accusa lanciata da Greenpeace, Legambiente e WWF, tanto da riservarsi di impugnare l’atto di approvazione della SEN. Anche perché il giudizio ambientalista sul merito della Strategia è piuttosto negativo: il documento viene infatti giudicato troppo sbilanciato sugli idrocarburi.
Quest’ultimo tema era stato molto enfatizzato in occasione della presentazione della bozza, posta in consultazione il 16 ottobre 2012, tanto da prevedere, nell’ambito della priorità “Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali”, il raddoppio delle produzioni nazionali sia di petrolio che gas naturale. Un raddoppio che, con nessuna enfasi, è rimasto anche nella versione approvata (in sordina) con decreto interministeriale firmato l’8 marzo da Passera e Clini.
Tuttavia, per prevedere gli effetti concreti di tale previsione è necessario soffermarsi sulla natura stessa della Strategia Energetica Nazionale. Il decreto che l’approva la definisce quale “atto di indirizzo strategico”, tuttavia il sottosegretario Claudio De Vincenti – anche durante la presentazione – ha usato la formula più sfumata di “documento di analisi, idee, proposte”. La questione, come si vedrà, non è di poco conto, se si considera che la fissazione di obiettivi è funzione propria del Parlamento, mentre al Governo, non a caso organo esecutivo, spetta il compito di realizzarli. Pertanto, il passaggio da semplice documento di analisi e proposta ad “atto di programmazione e indirizzo” sarebbe possibile in virtù di una legge, approvata in Parlamento, che impegni il Governo a definire una Strategia. E in effetti uno specifico articolo di legge c’era: il numero 7 della legge 133/2008, che però è stato abolito durante il governo Berlusconi nel goffo tentativo di evitare il referendum sul nucleare.
Trattandosi poi di energia non si può dimenticare che la l’art. 117 della Costituzione assegna, in tale settore, la competenza in maniera concorrente tra Stato e Regioni. E ci si dovrebbe anche ricordare che la Strategia fu concepita e prevista con legge anche, o meglio soprattutto, per poter permettere il ritorno della produzione di energia elettronucleare in territorio italiano, ma anche abruzzese, siciliano, piemontese, sardo e di tutte le altre regioni, che dapprima in undici, con alcune irriducibili – Puglia, Campania, Basilicata, Toscana e Emilia-Romagna – hanno intrapreso un guerra contro il possibile ritorno al nucleare e a difesa delle proprie prerogative, terminata solo con il referendum.
Dunque, il problema della SEN non è rappresentato tanto dal fatto che il decreto che l’approva sia o meno un atto di ordinaria amministrazione ma piuttosto, più gravemente, sulla sussistenza, ad oggi, di un indispensabile presupposto normativo che ne giustifichi l’emanazione. È vero che la versione finale della SEN è stata preceduta da un ampio processo di consultazione, avviato a metà ottobre e proseguito con il confronto con le istituzioni rilevanti, di cui si deve senz’altro dare merito al Ministero dello Sviluppo Economico. Ed è anche vero che la bozza di SEN ha avuto un parere positivo dalle Regioni, riunite nella Conferenza Unificata dello scorso 6 dicembre, ma queste ultime avevano comunicato “la richiesta di potersi esprimere anche sul documento definitivo”, sul quale, peraltro è mancato il parere più importante: quello del Parlamento, ovviamente non quello appena insediatosi, ma quello in carica fino al 22 dicembre 2012.
A questo punto, è solo un dettaglio che il Ministero dello Sviluppo Economico, nel redigere il documento finale, non abbia rispettato l’iter che egli stesso autonomamente si era dato – peraltro non è stata più celebrata la prevista Conferenza Nazionale sull’Energia – in quanto il vero problema giuridico della SEN sta tutto nell’aver agito in maniera “autonoma” dal Parlamento. In tale contesto, appare dunque poco rilevante quanto ha risposto, a tal proposito il ministro Passera in occasione della conferenza stampa di presentazione: “Era nostro dovere dare queste linee guida. Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri a ottobre, noi come ministeri avevamo l’impegno ad andare fino in fondo. Il documento può essere modificato facilmente da altri Governi perché è un decreto ministeriale, e sarebbe stato un grave errore interrompere il lavoro avviato”. E’ noto, infatti, come la certezza del diritto sia la base per un qualsiasi investimento duraturo.
Antonio Sileo*e Hermann Franchini**
*Ricercatore IEFE Bocconi
**Avvocato