Abiti usati: nei cassonetti gialli un tesoro da riciclare
A ogni cambio di stagione o quando crescono i bambini, nelle famiglie si raccolgono in un sacco gli abiti da dare via: ogni italiano ne produce – tra vestiti e accessori – 4 chilogrammi l’anno. Qualcuno li porta alle associazioni caritatevoli, molti li conferiscono nei cassonetti gialli presenti in quasi tutti i comuni italiani. E proprio in questi cassonetti gialli si nasconde un tesoro per il riciclo e il riutilizzo: delle 80.000 tonnellate di abiti raccolti, quasi tutto è riutilizzabile o riciclabile e se la raccolta fosse fatta in modo efficiente porterebbe a un risparmio annuo di 36 milioni di euro del costo di smaltimento dei rifiuti urbani. “Le 80.000 tonnellate che vengono raccolte ogni anno potrebbero essere oltre il triplo se la raccolta venisse fatta capillarmente nei comuni”, dice Edoardo Amerini, presidente di Conau, il Consorzio nazionale degli abiti e accessori usati che nel marzo 2012 ha stipulato un protocollo d’intesa con l’Anci per garantire un servizio migliore e più diffuso. Oggi siamo fermi a 1,3 chili di rifiuti tessili differenziabili, molto lontani dalla media europea di 7 chili pro capite. “I Comuni avrebbero innanzitutto un vantaggio rispetto all’obbligo del 65% di raccolta differenziata imposto dall’Unione europea, perché anche il vestiario usato è calcolato come rifiuto differenziato. Inoltre, ci sono altre due strade da considerare: la prima – praticata da pochi – è quella di gestire in proprio la raccolta e il conferimento degli abiti usati. La seconda, devolvere il margine economico che si ricava alla Caritas, sotto forma di contributo per le mense dei poveri o proprio nella distribuzione degli abiti. E questa è la strada maggiormente battuta”.
Secondo i dati raccolti dal Conau, una percentuale tra il 50 e il 70% dei Comuni italiani mette in pratica una capillare raccolta degli abiti tramite i cassonetti gialli, uno ogni 1.500 abitanti, in base all’accordo Anci-Conau. “Per le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna, ci stiamo attivando perché finora sono rimaste un po’ marginali visti i costi di trasporto. Così come con tutti gli altri comuni dove la raccolta è ancora indietro, stiamo cercando di potenziare il servizio”. Se la raccolta diventasse più diffusa, si potrebbe arrivare alla soglia delle 300.000 tonnellate l’anno di abiti usati raccolti, dai 3 ai 5 chilogrammi pro capite, avvicinandosi così alla media degli altri Paesi europei e risparmiando i 36 milioni di euro annui del costo di smaltimento dei rifiuti urbani.
Ma che fine fanno gli abiti che chiusi nei sacchi vengono conferiti nei cassonetti gialli? “Sono rifiuti ma non lo sono fino in fondo – prosegue Amerini – perché per il 50, 60% è materiale che viene trattato come tal quale. Gli abiti recuperabili subiscono un processo di igienizzazione e vengono poi venduti come vestiti usati nei mercatini. Il restante viene trasformato in materia prima e utilizzato per materassi, pannelli fonoassorbenti, oppure usato per recuperare la fibra tessile”. In pratica, la fase di trattamento prevede prima la selezione, in cui si divide la merce e si eliminano i materiali estranei, e l’igienizzazione, per raggiungere le specifiche microbiologiche indicate dalla legge.
Il recupero degli abiti usati, però, non è solo una buona pratica di riciclo e riutilizzo: raccogliere e riconvertire un chilo di rifiuti tessili può ridurre di 3,6 chilogrammi le emissioni di CO2, di 6mila litri il consumo di acqua, 0,3 chilogrammi di fertilizzanti e 0,2 chilogrammi di pesticidi. A stabilirlo è uno studio di un gruppo di ricercatori dell’università di Copenaghen, diffuso dalla Fondazione sviluppo sostenibile. Confrontando i dati della produzione nazionale di rifiuti urbani con la raccolta differenziata totale e la raccolta specifica della frazione tessile dal 2001 al 2008, lo studio dei ricercatori danesi fa notare come quest’ultima sia raddoppiata, passando dallo 0,11% allo 0,22%, mentre il valore medio pro-capite ha subito solo un lieve aumento, anche se resta sostanziale la differenza tra le aree del Nord, Centro e Sud Italia. E se la raccolta fosse fatta in modo corretto, secondo l’università di Copenaghen si potrebbero recupero dai 3 ai 5 chilogrammi l’anno di rifiuti tessili che altrimenti vengono gettati nei rifiuti indifferenziati. Questo vorrebbe dire togliere dalle discariche circa 240.000 tonnellate di rifiuti tessili, risparmiando ogni anno 864.000 tonnellate di emissioni di Co2, 72.000 tonnellate di fertilizzanti e 48.000 tonnellate di pesticidi.
Marta Rossi