Il platano plurisecolare di Luserna, testimone di 470 anni di storia
Proseguono i racconti della serie “Giona degli Alberi“, scritti in esclusiva per Greenews.info da Tiziano Fratus, in viaggio alla ricerca degli alberi monumentali italiani. La sesta puntata è dedicata al platano di Luserna San Giovanni, in provincia di Torino. Il prossimo 21 marzo arriverà in libreria l’ultimo libro di Fratus, dal titolo “Manuale del perfetto cercatore d’alberi” (Kowalski): una guida pratica e insieme “filosofica” per tutti coloro che vogliono allevare il cercatore di alberi che riposa in ciascuno di noi.
Diverse persone mi segnalano una grossa quercia, “che ci vogliono diverse persone ad abbracciarla tutta”, almeno otto, anche dieci. L’ultimo in ordine di tempo è un caro amico, il poeta di Savigliano Beppe Mariano. Così, seppellito nella noiosa luce lattiginosa di una mattina d’inverno ci vado, a Luserna San Giovanni. Il comune è l’unione di due altri paesi che sono rimasti separati, e giustamente, per alcuni secoli, San Giovanni Pellice, che si trova alla destra del corso del fiume, il paese basso, il più abitato e dinamico, e Luserna, o Luserna Alta, che invece occupa uno spazio contenuto alla sinistra del corso del fiume, risalendo la valle in direzione Torre Pellice, tangendo il confine meridionale della provincia di Torino. Questi due agglomerati sono rimasti separati dall’anno del Signore 1657 al 1872. Due date antiche che un albero qui presente dovrebbe aver annotato nei suoi anelli interni.
Raggiunta Luserna Alta cercate la chiesa, che troverete facilmente, parcheggiate. Sulla vostra destra via Cavour che porta ad una cancellata con dentro degli alberi non grandi, quindi il sentiero che circonda la proprietà dell’Immacolata, un budello di pietre sopraelevato da due ponticelli in pietra. Percorrendolo il sentiero ci passate sotto e noterete spuntare, dalla cima, le lunghe e contorte ramificazioni di un platano, l’albero che stiamo cercando. Per vederlo da vicino e toccarlo bisogna tornare alla Parrocchiale, oltre noterete l’ingresso del Seminario Missionario Diocesano Redemptor Mater (piazza Parrocchiale n°17).
I missionari sono molto cordiali e mi fanno entrare. Chiedo di vedere il platano e mi fanno incontrare un anziano signore che è la memoria storica della zona. Ha 82 anni e si chiama Paolo. E’ figlio di un vecchio proprietario della zona e mi racconta che un tempo qui c’erano ben cinque grandi alberi. Suo padre, nel1930, aveva sentito dire, da un vecchio signorotto locale, che il platano aveva 390 anni. Se si sommano gli ottandadue anni che ci separano da quell’anno ai 390 abbiamo una cifra assolutamente affascinante: 470 anni (circa), ovvero l’albero dovrebbe essere stato messo a dimora intorno al 1540! Mezzo secolo dopo la scoperta dell’America da parte degli europei.
I cinque alberi erano il platano, un tiglio plurisecolare con un grosso tronco che si separava in tre branche primarie, abbattuto da una tromba d’aria nell’autunno del 1958; un pino altissimo che si vedeva dalla scuola: quando Paolo usciva tornava a casa seguendo la punta del pino. Una “Tula” come la chiama lui, un “Tulipiè” nel vernacolo locale, l’occitano, ovvero un Liriodendron tulipifera, un liriodendro o come lo chiamano i francesi Tulipier o Tulipier de Virginie (esiste anche un Tulipier de Chine, raro, Liriodendron chinense), abbattuto da un fulmine nel giugno del 1959, l’anno dopo la caduta del tiglio; aveva un diametro di 320 cm ovvero una circonferenza di circa dieci metri. Infine l’altro albero che è rimasto, una sequoia gigante. La si vede spuntare nello spiazzo ghiaioso all’ingresso del Seminario. Provo a chiedere se sa quando è stato messo a dimora, non lo sa ma mi dice che era un albero meraviglioso, già grande quando lui era ragazzo, ha iniziato a seccare quando negli anni Sessanta venne deciso di costruire uno degli edifici che ora danno su questo spiazzo, dove prima c’era un giardino pensile. Durante la costruzione segarono alcune radici e la sequoia iniziò a seccare, lentamente. Oggi svetta nei suoi ventidue metri di altezza, con la maggior parte della chioma secca. Sei metri di circonferenza del tronco,un’enorme iperplasia alla base, una lunga radice – nervosissima – emersa. Produce coni piccolissimi, grossi come il mio pollice, lunghi tre, tre centimetri e mezzo. I missionari mi dicono che è in programma l’abbattimento, inizia a pendere pericolosamente verso gli edifici.
Il platano si trova all’inizio di un prato, ad alcune decine di metri di distanza dal complesso missionario e dal vecchio convento dell’Immacolata, i proprietari di questi alberi fino all’inverno scorso. Un gregge di pecore si ristora accanto all’albero, da un ramo pende un’altalena in legno. Molto romantico. Si supera un cancello basso e si approda alle radici espanse di questo gigante. Sono molto sorpreso che non sia stato incluso nel volume fotografico curato dalla Regione Piemonte, Alberi monumentali del Piemonte. Ha una forma a imbuto rovesciato simile ai platani del parco del Castello di Racconigi, nel cuneese. Il tronco,circolare, sale e supera i quattro metri, quando inizia a emettere branche laterali, almeno quattro, prima che il tronco si riduca sensibilmente e continui per un altro metro e mezzo e sciogliersi in una chioma molto ampia,più larga che alta, circa trenta metri di diametro. L’altezza totale dell’albero è intorno ai ventuno, ventidue metri. Misuro la circonferenza del tronco a petto d’uomo e alla radice: 735 e 1680 cm! Le foglie sono piccole, se l’età è corretta non può che trattarsi di un Platanus orientalis, in questo periodo non è facilissimo studiare le caratteristiche degli appartenenti a questa specie, poiché i semi pendenti, gli achenosi, sono sfatti, le foglie quasi tutte frante. E oltremodo, non avendo dati storici certi ma testimonianze riportate nessuno può assicurarne la veridicità. Le poche foglie che noto non mi paiono dell’orientalis, bensì di una forma ibrida,ma la forma del tronco sì, e così la screpolatura abbondante della scorza dalla base del tronco. Se fosse un ibrido non potrebbe avere più di quattro secoli, comunque un’età sorprendente.
Mi siedo sull’altalena, mentre alcune pecore, belanti, si accostano alla recinzione, a pochi passi di distanza. Mi fissano. Forse aspettano del cibo o semplicemente si chiedono cosa faccia quel bipede che gira intorno alloro platano. Il cielo s’è liberato, il sole ora arriva fin qui a baciare e a riscaldare la pelle.
Tiziano Fratus