Elezioni 2013: la grande caduta dal pero
Quello che mi stupisce di più dell’esito di queste elezioni è lo stupore di molti dirigenti di partito. Morgando, segretario Pd in Piemonte, si stupisce per “una tenuta così forte di Berlusconi” e ammette: “non abbiamo saputo intercettare la protesta”. “Né il centrosinistra, né il verde Bonelli (candidato con Ingroia che non raggiunge il 3%), né soprattutto il Movimento Liberi Pensanti – scrive Grazia Longo su La Stampa in merito all’esito elettorale a Taranto, dove il Movimento 5 Stelle è oggi primo partito con il 30% dei voti – riescono a farsi una ragione del responso delle urne”.
L’invito a “scendere dal pero“, si legge sul “Dizionario dei modi di dire” Hoepli, è solitamente rivolto a “persone superbe e presuntuose”, alle quali farebbe bene calarsi in una prospettiva pari ai propri simili, per riconsiderare e rivalutare, entro una nuova dimensione, quello che li circonda. Sono infatti costoro che “caduti dal pero“, devono ” prendere atto, in genere dolorosamente, di una data realtà“. Mai espressione idiomatica si è prestata meglio a descrivere il giorno dopo le elezioni.
Non serviva essere dei profeti per intuire l’esito elettorale (che personalmente mi preoccupa, ma non mi stupisce affatto), era sufficiente parlare con le persone per strada: imprenditori, professionisti, manager, casalinghe, operai, disoccupati, studenti, pensionati, il famoso “paese reale” che le grandi menti dei partiti, troppo assorte nei calcoli totalmente autoreferenziali dei “pesi interni“, continuano a ignorare o comunque non sono in grado di comprendere. Mentre loro stavano chiusi nelle sedi di partito a riunirsi tra loro, Grillo andava in piazza a Taranto e nel Sulcis – i luoghi dove gli altri rischiavano il linciaggio.
Concedetemi una rapida carrellata, per dimostrare la tesi con qualche immagine concreta: era credibile il successo di un Monti, trasformato (da quel sedicente genio di David Axelrod) da integerrimo professore di economia e civil servant a patetico promotore di se stesso con cagnolino in braccio? No. Era prevedibile che imprenditori e professionisti esasperati dalla pressione fiscale e dall’atteggiamento poliziesco di Equitalia avrebbero di nuovo votato Berlusconi? Certamente sì, che piaccia o no. Era pensabile che un Bonelli alleato con il giustizialista Ingroia (traghettatore di vetero-comunisti come Diliberto e Ferrero) avrebbe preso voti un centimetro al di là di quell’angusto (e anacronistico) perimetro? Ovviamente no (lo avevamo già scritto l’11 gennaio scorso, ben prima del voto). Dunque, dove sta la sorpresa di questi risultati elettorali?
Gli elettori, come ampiamente previsto dagli osservatori più attenti e sintonizzati con il Paese (compresi i bookmakers inglesi, che su queste previsioni scommettono dei gran soldi), hanno premiato, a seconda delle proprie inclinazioni, l’unica vera rivoluzione, quella di Grillo, hanno confermato l’attesa “vittoria” del Pd – pur punendo il partito per la sua irriducibile hybris e l’incapacità di comprendere e delineare realmente una “nuova strada” – e si sono aggrappati, in numero ancora significativo, alla speranza tradita (ma pur sempre incarnata da Berlusconi) di trovare riscatto nei confronti di uno Stato ritenuto ingiusto, invasivo e scialacquatore. O, per lo meno, di tornare, irrazionalmente, a un passato che non c’è più, ma che faceva meno paura.
Ora, che fare? La situazione, complessivamente, non è certo facile, per il rischio di ingovernabilità, aggravato da meccanismi istituzionali che, come ha osservato il costituzionalista Michele Ainis, potrebbero generare uno stallo difficile da sbloccare. Ma, soprattutto – come ci domandiamo nella nostra vignetta di oggi – “ora che siamo al verde” e che non ci sono prospettive di un’imminente uscita dalla crisi (né politica né economica), “chi avrà davvero la forza di pensare verde?” e di applicare concretamente i programmi elettorali propagandati nelle settimane scorse? Chi, cioè, come hanno richiesto tutte le associazioni ambientaliste e di categoria, saprà farsi interprete della green economy in modo trasversale, dribblando le ideologie e gli interessi di bottega, per conquistare un risultato di interesse comune? E’ una domanda a cui oggi è decisamente troppo presto per rispondere, anche se una possibilità c’è e non riguarda i partiti né i leader carismatici, ma le persone. In questa legislatura, come mai prima d’ora, entreranno, infatti, a far parte del Parlamento tantissimi outsider della cosiddetta “società civile“, forse meno competenti in senso tecnico, ma anche, sicuramente, meno irregimentati dei vecchi onorevoli monocolore: se lo vorranno e se sapranno dare precedenza alla coscienza e alla lungimiranza, potrebbero diventare loro i protagonisti della svolta, di una silenziosa “rivoluzione verde” del Paese. Poiché il legislatore, non dimentichiamolo, rimane pur sempre il Parlamento e non il Governo.
Andrea Gandiglio