Wolfnet: come difendere il lupo dall’uomo e le pecore dal lupo
Per secoli è stato l’emblema dell’animale cattivo, del pericolo in agguato. Oggi i rapporti di forza sono cambiati: il lupo, nonostante ne siano presenti in Italia almeno mille esemplari, è una specie a rischio, minacciato soprattutto dagli uomini. Da bracconieri e allevatori predati delle greggi, in primo luogo, ma anche da lobby senza scrupoli. “Il lupo ha raggiunto l’ultimo picco negativo più o meno a metà degli anni Settanta, quando non aveva più risorse alimentari. In quel periodo l’allevamento allo stato brado di pecore e capre ha subito una forte contrazione, mentre i grandi erbivori selvatici erano già stati sterminati tra 1500 e 1600 e il bosco era arretrato per far spazio ai pascoli”, spiega Bernardino Ragni, zoologo dell’Università di Perugia. La situazione è però cambiata nel corso di un decennio: “Negli anni Ottanta la reintroduzione di cinghiali, cervi, camosci, il ritorno dell’allevamento brado e l’avanzamento del bosco hanno creato le condizioni per una nuova diffusione del lupo sulla dorsale Appenninica e in gran parte delle Alpi, tuttora in fase di ricolonizzazione”.
Con il lupo, però, sono tornate anche le razzie dei greggi e la paura delle comunità locali. “Dal 1977, anno della nuova legge sulla caccia, il mammifero non è più perseguitato ufficialmente dallo Stato, ma cacciatori, allevatori, bracconieri continuano a minacciarlo”. Conflitti a cui il progetto europeo Wolfnet, che coinvolge i Parchi nazionali della Majella (capofila), del Pollino e delle Foreste Casentinesi, la Provincia dell’Aquila, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana e Legambiente, cerca di dare risposte. Co-finanziato al 65% dall’Ue con un contributo di 1 milione di euro nell’ambito del programma Life, è partito a gennaio 2010 e finirà il prossimo dicembre.
Le soluzioni che si stanno sperimentando riguardano soprattutto gli attacchi a pecore e capre, un fenomeno di dimensioni non proprio trascurabili: “Nell’agosto 2002, per esempio, nella zona dei monti Sibillini dove mi trovavo insieme a dei colleghi per una ricerca, in una notte un branco di lupi uccise 280 capi”, continua Ragni. In questi casi, il pastore riceve dalle Province – o, se si trova in un’area protetta, dall’ente Parco – un indennizzo che va dai 100 ai 150 euro, in tempi spesso lunghi: “Il parco della Majella spende ogni anno dai 20 ai 25.000 euro per il risarcimento di circa 200 capi abbattuti dai lupi, su un patrimonio complessivo nella zona di 10.000 ovini. Abbiamo creato un sistema che permette di liquidare le aziende in 30-60 giorni, a fronte dei 18 mesi impiegati dalle Province”, spiega Simone Angelucci, veterinario del Parco.
Spesso, però, a colpire i pastori è proprio la perdita del patrimonio produttivo rappresentato dall’animale, soprattutto quando si tratta di specie autoctone che hanno richiesto anche una selezione genetica: “Per questo abbiamo creato un gregge del parco: l’idea è quella di offrire una pecora al posto del risarcimento in denaro”. Una soluzione in sperimentazione da qualche mese e che potrebbe rivelarsi virtuosa anche dal punto di vista economico: “Due allevatori della zona si occupano dei nostri capi e trattengono il 75% dei nuovi nati per coprire le spese. L’altro 25% va ad alimentare il gregge del parco. Se tutti optassero per la restituzione del capo, a quel punto il sistema di indennizzo per il parco sarebbe a costo zero”.
Ad aumentare l’esasperazione dei pastori sono anche le difficoltà economiche: “La presenza del lupo incide in un quadro di grande difficoltà per le aziende: molte chiuderanno alla fine dell’anno, con la conclusione del Piano di sviluppo rurale 2007-2013.Vediamo che quelle più prospere dal punto di vista economico, magari grazie a un agriturismo, un caseificio, o un passaggio generazionale, riescono ad accettare meglio anche dal punto di vista psicologico le perdite causate dai lupi”. In quest’ottica, nel parco delle Foreste Casentinesi si sta pensando di dare un sostegno più ampio degli allevatori: “Li aiuteremo a valorizzare i loro prodotti, o a smaltire le carcasse degli animali morti, organizzando un sistema meno costoso. Se infatti le aziende vivono in una condizione economica migliore, sono portate ad accettare meglio anche gli attacchi del lupo”, conferma Andrea Gennai, responsabile Pianificazione del parco toscano, dove è nato anche un forum per far dialogare sul tema enti pubblici e allevatori, ma anche operatori turistici, che dalla presenza di branchi sul territorio potrebbero trarre invece benefici.
“A causa del bracconaggio, dei fucili, delle trappole, dei lacci, dei bocconi avvelenati o degli incidenti stradali, ne vengono uccisi oltre 100 ogni anno. Anche se le stime recenti indicano che in Italia sono presenti 800-1000 lupi, si tratta di un livello che determina ancora uno status precario delle popolazioni, la cui sopravvivenza non è garantita nel lungo periodo, rendendo ancora oggi il lupo un’entità faunistica minacciata”, spiega il Wwf. Una specie ancora molto fragile, tanto che, precisa Ragni, “potrebbe essere sterminata dall’uomo in un solo decennio”. Per difendere i lupi da cacciatori e bracconieri e per raccogliere informazioni sul loro comportamento, nel Parco della Majella si stanno sperimentano radio collari con Gps: “Ci permettono di localizzare gli animali, capire quanto frequentano zone caratterizzate da attività umane e proteggerli dai pericoli. Una lupa, per esempio, era stata presa a un laccio per i cinghiali: grazie al segnale Gps l’abbiamo trovata e liberata”, continua Angelucci.
Oggi il lupo è riconosciuto come specie protetta dalle leggi italiane e dai trattati europei, e la direttiva Habitat lo inserisce tra quelle di interesse prioritario. Ma le minacce arrivano anche dalle istituzioni, in certi casi sottoposte alle pressioni di lobby che non hanno interessi a proteggere le popolazioni di lupi. “In Svizzera, qualche anno fa, il parlamento ha proposto di riaprire la caccia ai lupi per uccidere quegli esemplari che avevano causato perdite agli allevamenti”, racconta Ragni. A luglio 2011, la commissione Agricoltura della Camera ha approvato un documento sulla possibilità di abbattere i lupi se minacciano le attività agricole. Una mossa a cui non sono seguiti, per fortuna, interventi legislativi. “Dietro allo spauracchio del ‘lupo cattivo’ – scriveva l’allora presidente del Wwf Stefano Leoni in una lettera di protesta – si nascondono una maldestra politica agricola e le difficoltà di una attività agrosilvopastorale poco competitiva. È veramente colpa del lupo se la pastorizia è in crisi o se l’allevamento non è più redditizio? È colpa del lupo la crisi profonda della montagna?”.
Veronica Ulivieri