Volare oltre lo smog. Flavio Tebaldi e i campioni del deltaplano
Italiani, popolo di trasvolatori. Sfrecciano davvero sul tetto del mondo, i ragazzi della nostra nazionale di Deltaplano. A New South Wales, in Australia, la squadra azzurra di Flavio Tebaldi ha appena conquistato il terzo titolo mondiale consecutivo, che va ad aggiungersi ai due podi europei e altri tre mondiali vinti in precedenza. Un record assoluto, che porta i campionissimi del volo libero a dominare saldamente le classifiche internazionali.
Con uno degli sport più “green” che ci siano, senza benzina né motore, i sei uomini alati che hanno corso per il nostro Paese hanno sfidato i cieli all’ultima traiettoria, lottando contro 23 nazioni e 105 piloti e affrontando una media giornaliera di 180 cilometri, trascinati in decollo dal traino di velivoli ultraleggeri (visto che in Australia non esistono pendii dai quali involarsi). Alla fine dei dieci giorni di competizione, il primo posto è stato conquistato dall’austriaco Manfred Ruhmer, che conta già 5 vittorie mondiali individuali. Il resto del parterre è, però, tutto azzurro. Con Alessandro Ploner in seconda posizione e Filippo Oppici che conquista la medaglia di bronzo.
D) Tebaldi, siete arrivati in terra australiana da ultracampioni. Speravate di vincere ancora?
R) Leggendo le formazioni delle altre squadre, non ci aspettavamo grandi difficoltà. Con due mondiali e due europei consecutivi, cosa che nessuno ha mai fatto nella storia, ho convinto i miei che non avevamo nulla da perdere, che nessuno ci avrebbe mai tolto i successi guadagnati. L’unica cosa di cui non potevamo soffrire era l’ansia da sconfitta: prima che qualcun altro faccia quello che abbiamo realizzato noi devono passare almeno 10 anni.
D) Il segreto per non perdere mai la calma in volo?
R) Abbiamo volato rilassati, anche se Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Austria erano almeno forti quanto noi. Ci è anche scappato il podio individuale. Per il resto abbiamo vinto solo di 72 punti su più di 265 mila, ma il titolo è in cassaforte. L’Italia ha portato via tutto, è abbastanza rigenerante continuare a vincere. La cosa più difficile nel nostro sport non è esprimere velocità pura, ma non perdere la testa e riuscire a gestire un campionato del mondo di 10 giorni. Non si devono vincere 1-2 manches, ma tutte, a 140 chilometri orari nelle planate e veleggiando a 80, quando sei a velocità di crociera.
D) Il deltaplano è uno degli sport più “verdi” del mondo. Quanto vi è d’aiuto per la concentrazione e il relax, l’incanto del paesaggio che sorvolate?
R) E’ una vista impagabile, quella dall’alto. Nel nostro volo non esiste motore, né carburante. Sfruttiamo l’energia generata dal sole e dal riscaldamento terrestre, il nostro motore è l’energia cinetica, sono le correnti ascensionali, l’energia aerodinamica.
D) L’astronauta Guidoni, in una passata intervista, ci ha confessato di vedere chiaramente lo smog dallo spazio. Anche a voi, a tutt’altre altezze, è capitato?
R) Certo, è visibilissimo e anche di più. Saliamo “in termica”, cioè il deltaplano comincia a salire “per inversione”, quando si crea una cappa, un coperchio dove lo smog si ferma e l’aria è più calda. Quando arrivi sopra il livello dello smog, vedi una riga all’orizzonte spessa e nera, che non è nient’altro che l’inquinamento. Si distingue chiaramente nelle giornate afose, di alta pressione, viaggiando sopra le Prealpi lombarde. Se voli dove l’aria non è più così inquinata, è facilissimo vederlo e fa abbastanza impressione. Per fortuna, compensiamo con il paesaggio…
D) Anche per voi che siete atleti è ancora un brivido vedere il mondo dall’alto?
R) Sempre. La vista dall’alto è unica, hai una sensazione di distanza più corta, vedi il mondo più da vicino, come l’uomo non può fare normalmente perché lo sguardo è bloccato anche solo dalla casa davanti. La vista panoramica da lassù non ha prezzo. Certo, è meglio volare lontano dalle città, ma non ci illudiamo di certo che l’inurbamento si blocchi...
D) Che altezze raggiungete, con la sola spinta delle correnti?
R) In primavera si può salire molto. Sulle Dolomiti anche 4000-5000 metri, in giornate eccezionali. In media 2.500 metri, ma negli Stati Uniti c’è addirittura chi noleggia kit per l’ossigeno, perché si arriva a 6000 metri.
Letizia Tortello