Monica Frassoni: ecco il mio “Green New Deal”
In vista delle elezioni 2013 di febbraio proseguono le interviste di Greenews.info a politici e amministratori, per cercare di comprendere, quali siano i programmi più concreti e credibili a favore dell’ambiente e della green economy.
Romano Prodi, alcuni anni fa, la definì “una forza della natura”. Europarlamentare dal 1999 nel gruppo dei Verdi e dal 2009 co-presidente del Partito Verde Europeo – rieletta con il 96% dei consensi – Monica Frassoni due anni fa, è stata inserita dal “Foreign Policy” di Washington tra i 100 “top global thinkers” (unica presenza italiana), con questa motivazione: “For taking green a mainstream“, ovvero per aver fatto crescere il peso delle tematiche ambientali nel mondo politico ed economico. Ma al netto dei riconoscimenti internazionali, Frassoni pare sempre avere avuto due parole d’ordine: Europa e Ambiente (non necessariamente in quest’ordine): oggi è candidata come indipendente nella lista di Sinistra Ecologia e Libertà per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Un “decisione”, scrive sul proprio blog, “presa dopo un’attenta riflessione e con entusiasmo”.
Nonostante questo, i Verdi non l’hanno presa molto bene: prima il presidente Angelo Bonelli, con una dichiarazione che non lascia molto spazio alle interpretazioni (“Ormai è sotto gli occhi di tutti che il Partito democratico e SEL hanno costituito un’alleanza dannosa per l’ecologia e l’ambiente”), poi, alcuni giorni fa, l’appello dei Giovani Verdi Italiani alle sue dimissioni da co-Presidente dei Verdi Europei, in seguito alla candidatura nelle liste di SEL.
Ma quando, a Bruxelles, la raggiungiamo al telefono per l’intervista, la Frassoni chiarisce subito che non risponderà a domande che riaccendano la polemica tra lei e suoi vecchi compagni di partito – un partito, quello dei Verdi Italiani, dal quale è uscita formalmente già nel 2009: “Queste elezioni devono metterci in condizione di fare le necessarie scelte di politica economica, sociale ed ambientale verso il Green New Deal e l’Europa Federale. Non credo di essere stata né trasformista, né opportunista. La mia campagna elettorale non sarà contro i Verdi. Perché dovrebbe?”.
D) Come imposterà, dunque, la sua campagna elettorale?
R) Penso che oggi sia indispensabile non disperdersi e non cadere nel riflesso irrazionale di considerare come i nostri peggiori nemici coloro che ci sono politicamente più vicini, magari aiutando la vittoria della destra.
D) Non vede contraddizioni nella coalizione di cui fa parte il partito di Vendola?
R) Ho accettato la proposta di far parte delle liste di SEL, proprio consapevole dei rischi e dei limiti di una coalizione di centro-sinistra nella quale le opzioni ambientaliste sono maggioritarie in SEL ma non (ancora) nel Pd. Tuttavia, posizioni diverse in questo momento cosi grave per l’Italia, fondate sull’“imperfezione” del centro-sinistra, mi paiono in fondo un segno di mancanza di speranza, di sconfitta annunciata di fronte alla possibilità di mettere in marcia il cambiamento anche in Italia.
D) Da un osservatorio privilegiato come Bruxelles, riesce a individuare le priorità che l’Italia dovrebbe fare proprie per avviare questo cambiamento in chiave “green”?
R) Io amo parlare di Green New Deal, proprio per affrontare il tema complessivo della riconversione ecologica dell’economia e della società. Questo vuol dire che non possono più bastare poche “pennellate di verde” per affermare che conduciamo politiche ambientalmente sostenibili. Ma che dobbiamo fare i conti con precisi elementi di fatto – i cambiamenti climatici tra tutti – che vanno governati.
D) Come, concretamente?
R) Facendo scelte in materia energetica, di sviluppo urbano, di pianificazione del territorio, in materia di energia: scelte – e per questo parlo di riconversione ecologica – che sono di politica economica, in campo sociale e legislativo. Non basta dire, dunque “rendiamo l’Ilva meno inquinante”, sposando quest’approccio, occorre anche chiedersi: Come? Con quali regole? Con quali protezioni per il territorio e la gente che ci vive? A quale prezzo (anche economico)?
D) Quante domande…
R) È l’unico modo per uscire da una visione punitiva dell’ambientalismo, che storicamente è sempre stata più un’etichetta – “quelli del no” – che ci hanno affibbiato e assolutamente non meritata (accanto al no c’è sempre un sì), ma che ci ha inseguiti costantemente. Oggi, come ambientalisti abbiamo il dovere di allargare al massimo i confini entro cui ci muoviamo. Ed è una delle ragioni per cui non ho aderito alla Costituente Ecologista, il soggetto politico ambientalista nato nel 2011 dalla federazione di alcune reti civiche e dagli stessi Verdi italiani.
D) Tornando agli obiettivi di questo Green New Deal?
R) Tre sono gli elementi fondamentali in seno a una riconversione del Paese in chiave ecologica: la sfida energetica, i nodi del consumo del territorio e del dissesto idro-geologico e, terzo, il tema dei diritti e, più in generale, della democrazia.
D) Vediamoli meglio: la questione energetica…
R) Rispetto al primo punto, che il piano energetico nazionale sia stato sottoposto a una consultazione pubblica dal Ministro dell’Ambiente uscente, Corrado Clini, è una buona notizia. È meno positivo il fatto che, all’interno, vi siano poi scelte in forte contraddizione con la necessità – riconosciuta oramai da tutti – di realizzare una strategia energetica fondata sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica, le due priorità assolute. In quel piano, invece, c’è un po’ di tutto (trivelle, gas, carbone) e senza priorità. Uscire dalle contraddizioni, dunque, e mettere a sistema.
D) Il territorio: quali sono i nodi?
R) La questione del consumo del territorio è fondamentale ed è collegata al tema delle infrastrutture e delle grandi opere, dei trasporti insomma. Su questo, occorre aprire dialettica con il Pd, non facendo barricate ma discutendo. Proprio oggi ho finito di scrivere un ricorso indirizzato al commissario europeo per la concorrenza Almunia sulle concessionarie autostradali, un altro regalo che il governo Monti ha fatto alla lobby dei costruttori delle autostrade!
D) E cosa intende quando parla di “democrazia”?
R) Ecco, secondo me non possiamo più rimandare una riforma della politica, nei metodi e nei contenuti, che includa anche il tema della partecipazione civica, dei nuovi diritti, del pluralismo. Con l’urgenza di risolvere al cospetto dell’Europa e quanto prima, temi – anche simbolici – come i contenziosi aperti soprattutto in tema di rifiuti…
D) Come vede il suo Paese nel contesto europeo? Cosa ci manca, se ci manca qualcosa, per contare?
R) Non è vero che l’Italia non conta in Europa: il problema è come. Dobbiamo tornare a pesare, proponendo una politica nuova e su questo, imbastire le alleanze. “Green Economy” non è una bella etichetta da appiccicare dopo aver fatto le cose, magari per renderle più accettabili. “Green Economy” comprende tutto il complesso di politiche del territorio, ad esempio quelle industriali, che incidono sui cambiamenti climatici. Sforziamoci di fare analisi di mercato non viziate ideologicamente, concentriamoci non solo sulla grande industria, ma anche su quei settori industriali (che tra l’altro sono il punto forte dell’Italia) di medio e piccolo cabotaggio ma che diano una chance anche all’ambiente. Basta spendere i miliardi per proteggere Sulcis e negare una possibilità all’ambiente. Il futuro o è verde o non è.
Ilaria Donatio