Ditelo con un fiore sostenibile. Sumflower arriva sulla Riviera di Ponente
Sumflower (Sustainable Management of Floriculture in Western Riviera), è un progetto, finanziato dal Programma Life+ della Commissione Europea, che si occupa di studiare la filiera vivaistica della Riviera di Ponente con l’obiettivo di creare un sistema sostenibile di gestione per la floricoltura e l’orticoltura ornamentali. Partito nel settembre del 2011 per concludersi ad agosto 2013, Sumflower si concentra sul consumo di risorse, l’utilizzo del suolo, la produzione e il trattamento dei rifiuti. A pochi mesi dalla fine del progetto (e a un mese dal Festival di Sanremo) abbiamo chiesto a Mauro Mariotti, docente di Botanica al Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova, responsabile del progetto, di raccontarci lo stato dell’arte della florovivaistica e le prospettive future in termini di maggiore sostenibilità del settore.
D) Professor Mariotti, uno degli obiettivi del progetto è sensibilizzare gli operatori del settore. Che situazione ha trovato a riguardo?
R) In generale posso sicuramente dire di essere soddisfatto di ciò che abbiamo incontrato durante il progetto, che ha positivamente superato le mie aspettative. Nonostante il periodo difficile e la crisi, che limita gli investimenti, le aziende si sono dimostrate molto sensibili sul tema del risparmio energetico e dell’abbattimento dell’inquinamento, soprattutto per quello che riguarda i costi di riscaldamento e di trasporto. Il lavoro da fare è ancora molto, ma devo essere sincero: temevo che la situazione fosse decisamente peggiore. Ho notato soprattutto che nelle aziende dove è avvenuto un ricambio generazionale e il controllo è passato ai figli, l’attenzione e la volontà di migliorare, dal punto di vista della tutela ambientale, sono aumentate.
D) Un esempio?
R) Siamo stati in un’azienda in cui era appeso un cartello scritto a mano dal proprietario che indicava i dosaggi di acqua e cure per le piante. Quando il controllo è passato al figlio, quest’ultimo si è dimostrato interessato all’automazione dell’irrigazione e ai benefici che questa può comportare. Il mix è vincente: ad una grande esperienza pregressa – che non deve e non può andare perduta – si può affiancare un metodo nuovo e più razionale di utilizzo delle risorse.
D) E’ importante creare una certificazione di qualità per i fiori?
R) Assolutamente sì. In realtà più che creare una certificazione da zero, il nostro obiettivo è di partire da una certificazione di qualità che già esiste, il marchio Fiore Giusto, e di lavorare per renderne più stringenti i parametri e per implementare un protocollo standard. La certificazione è fondamentale soprattutto per commerciare con l’estero, per sfondare nei grandi mercati del nord Europa. Dall’Olanda, che è anche uno dei principali produttori mondiali, passando per la Germania e i Paesi scandinavi c’è grande interesse (sia sociale che economico) nel commerciare con mercati di qualità e quindi una certificazione importante è imprescindibile per stabilirsi in questi mercati. E’ utile anche per contrastare la concorrenza impari di alcuni grandi produttori mondiali senza regole ambientali, come ad esempio Ecuador, Angola, Kenya o Thailandia, che non hanno normative ad hoc e fanno un uso estensivo di anticrittogamici e altre sostanze inquinanti.
D) Avete incontrato delle resistenze? Ci sono state difficoltà con le aziende?
R) Sì, ce ne sono state. Quando abbiamo svolto i questionari per selezionare le 10 aziende che avrebbero partecipato al progetto, ce ne sono state alcune che non ne volevano assolutamente sapere di modificare il proprio modo di lavorare. Man mano che il progetto prendeva piede però, sempre più aziende hanno dimostrato curiosità e volevano partecipare. Il cambiamento di mentalità è lento, anche perché la Liguria, e in particolare la Riviera di Ponente, è un universo formato da infinite aziende di piccolissima dimensione – alcune hanno una superficie coltivata poco più grande di due stanze – ma che sommate formano un territorio considerevole. Noi a riguardo abbiamo già svolto, all’interno del progetto, tre corsi brevi in cui abbiamo ospitato 50 aziende per volta.
D) Il progetto Sumflower è ormai in fase avanzata. Quali sono i risultati?
R) Indicare un risultato univoco è difficile, perché quello florovivaistico è, appunto, un settore estremamente eterogeneo. Le richieste in termini di energia e consumo di risorse fra la coltivazione di piante aromatiche in esterno o di delicati fiori in serra sono molto diverse. Quello che valutiamo noi non è quindi semplicemente l’energia, ma l’emergia, cioè miriamo ad individuare attraverso un’analisi dettagliata, quella che è l’impronta ecologica di ogni azienda a seconda della fonte di energia che utilizza e dell’impatto qualitativo che questa può avere sul prodotto.
D) Quali sono le criticità principali legate all’utilizzo di anticrittogamici nel florovivaismo?
R) Nei confronti degli anticrittogamici serve una lotta integrata per ridurre al minimo il loro utilizzo e per scegliere prodotti che siano il più possibile degradabili e quindi meno invasivi. Stiamo anche portando avanti una campagna di sensibilizzazione per indicare ai coltivatori quali siano i periodi migliori per utilizzare questi prodotti, in modo da limitarli il più possibile e massimizzarne gli effetti. Ma da questo punto di vista siamo molto realisti: ci troviamo di fronte ad aziende che vivono del prodotto dei loro campi e non possiamo presentarci e dire loro di azzerare improvvisamente l’utilizzo di antiparassitari e sostanze chimiche. Anche perché questi imprenditori si trovano a relazionarsi con le aziende che vendono gli anticrittogamici, i quali prospettano i rischi di perdere l’intero raccolto, quindi la sensibilizzazione è una questione lunga e da portare avanti passo dopo passo.
D) Riguardo all’utilizzo di concimi, invece, cosa avete notato durante il progetto?
R) Il consumo delle risorse del suolo è sempre stato un tema fondamentale per il settore. Oggi si può dire che siamo giunti alla “curva di appiattimento” in tal senso, e il problema è diventato l’opposto. Non bisogna più ragionare in termini di arricchimento del suolo, ma bisogna iniziare a guardare ad una riduzione nell’utilizzo dei concimi azotati, per riequilibrare il suolo. Bisogna bilanciare la necessità di arricchire il suolo con una tutela della stabilità dello stesso.
D) Rispetto ai rifiuti cosa si può fare invece?
R) Il problema dei rifiuti è un problema soprattutto amministrativo. Quelli che la legge chiama rifiuti sarebbe più corretto definirli scarti di produzione. Per farle un esempio, se un’azienda decide di bruciare degli scarti di produzione, magari per creare energia, oggi viene sanzionata. Proprio per questo come Università di Genova stiamo già pensando ai prossimi passi e abbiamo presentato un altro progetto europeo Life+, che speriamo venga approvato a breve, dedicato al trattamento degli scarti di produzione e ai rifiuti delle coltivazioni florovivaistiche.
Alessandro Gamberi