La rivoluzione dei makers: gli artigiani digitali si incontrano al FabLab
Solo l’ultimo hobby da geek o una potenziale nuova rivoluzione industriale? L’ennesimo passatempo tecnologico senza sbocchi pratici o l’alba di un inedito modello di produzione e di business?
Quando si parla del movimento dei makers è facile imbattersi in posizioni scettiche, tanto quanto in entusiastiche celebrazioni. E certo, bisogna ammetterlo, pendeva un po’ più dalla parte dell’entusiasmo l’incontro organizzato la scorsa settimana dall’associazione torinese NewTo, se non altro per la sede scelta: gli spazi di co-working di ToolBox, che da poco meno di un anno ospitano le Officine Arduino, primo FabLab italiano e regno dei makers piemontesi.
Ma andiamo con ordine. Primo, Arduino, l’origine di tutto: per chi ancora non lo sapesse, si tratta di una piattaforma hardware open source a basso costo, inventata a Ivrea, presso un centro di ricerca Olivetti, dall’ormai famosissimo Massimo Banzi. La rivoluzione di Arduino consiste, oltre che nella semplicità di funzionamento, nella completa condivisione del progetto: in pratica chiunque, scaricandone lo schema, può costruirsi legalmente e gratuitamente il suo hardware e modificarlo secondo le proprie esigenze. La logica open source e le infinite possibili applicazioni fai-da-te di Arduino hanno dato vita al più creativo movimento spontaneo degli ultimi anni, i cosiddetti makers. Un po’ designer, un po’ informatici e un po’ bricoleur, i makers inventano e costruiscono oggetti, ma a differenza degli artigiani tradizionali lo fanno partendo dal digitale. E qui entrano in gioco i FabLab. Per trasformare un file-progetto in un oggetto vero e proprio occorre innanzitutto una stampante 3D, macchinario avveniristico che fino a pochi anni fa poteva costare decine di migliaia di euro, ma oggi, grazie alla diffusione dell’open hardware, si compra per circa 1.000 euro. Volendo (ed essendo piuttosto appassionati ed esperti) una stampante 3D la si può anche costruire da soli, oppure, più semplicemente, la si può trovare e utilizzare in un FabLab.
I Fabrication Laboratory sono piccole officine dotate di varie macchine a controllo numerico (stampanti 3D, macchine a taglio laser, frese, plotter) con cui si può costruire praticamente di tutto. «Ma non solo – spiega Enrico Bassi, responsabile delle Officine Arduino – Da noi si può venire anche per provare le macchine, imparare ad usarle con l’aiuto di chi ha le competenze e sperimentarne le possibili applicazioni. Arrivano studenti, hobbysti, gente che vuole riparare un oggetto a cui tiene in modo particolare, ma anche professionisti alla ricerca di nuove idee, piccoli artigiani che hanno bisogno di consigli per velocizzare i loro processi di produzione o giovani “inventori” che possono realizzare singoli prototipi da modificare di volta in volta, prima di imbarcarsi in costosi processi di stampa industriale». Making, insomma, significa riappropriarsi di quel processo di produzione che gli stabilimenti industriali avevano in qualche modo “sequestrato” e reso inaccessibile.
Diffusissimi negli Stati Uniti e in Nord Europa, ma presenti un po’ in tutto il mondo, i FabLab sono approdati da noi solo nel 2011, grazie alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. «Ce n’era uno, sempre preso d’assalto dai visitatori, all’interno della mostra “Stazione Futuro”, ideata da Riccardo Luna alle OGR di Torino – racconta Aurelio Balestra, project manager di Toolbox – Chiusa la mostra, sarebbe stato un peccato disperdere il patrimonio di competenze e contatti acquisito con quell’esperienza. Così abbiamo pensato di trovare una casa permanente per il primo FabLab italiano proprio qui nel nostro co-working, uno spazio per definizione fertile e predisposto alla condivisione, all’incontro di professionalità diverse e alla cross innovation. Perché il cambiamento culturale più importante – aggiunge – è passare dalla competizione alla collaborazione, capire che collaborare conviene».
Condivisione, progettazione collettiva, reti e comunità: i capisaldi del movimento dei makers sono a ben guardare gli stessi che stanno alla base dell’idea di Smart City. «Se ognuno ha un’idea e la condivide invece di tenerla chiusa nel cassetto, alla fine l’umanità sarà più ricca di idee e di possibilità, con vantaggi per tutti. – spiega Bassi – Prima che una rivoluzione tecnologica, quella dei makers è una rivoluzione culturale. E la cosa più interessante è che, nonostante si tratti senza dubbio di un movimento globale, è assolutamente incosciente. Un maker è tale non perché abbia pianificato una precisa strategia di profitto, ma perché ha una passione. Questo fa sì che la spinta creativa e innovativa non venga limitata dalle strategie di mercato, come invece avviene sistematicamente nell’innovazione su scala industriale, ma sia completamente libera». Suona utopico, certo, ma in fondo il terreno di coltura delle idee più dirompenti è sempre stato nutrito dall’utopia. «E poi –si schermisce Bassi – noi non puntiamo mica a sostituire la produzione industriale, ma all’autoproduzione e a costruire oggetti che abbiano un valore particolare per chi li fabbrica. Certo, al momento i FabLab sono troppo pochi: non c’è massa critica e quindi non c’è profitto. Ma – conclude – è del tutto probabile che la massa critica molto presto si creerà». E allora altro che utopia…
Giorgia Marino