Calopresti: “un manifesto” per avvicinare il cinema all’ambiente
Di lui è stato detto: “Lontano da tutto ciò che è onirico e barocco, il cinema di Calopresti è quanto di più si avvicina al cinema verità.” Mimmo Calopresti è regista di numerosi film – ricordate “La parola amore esiste”, con Fabrizio Bentivoglio e Gerard Depardieu e “L’abbuffata”? – e di intensi documentari. Ma ora si affaccia anche al mondo dell’ambientalismo, con la regia del corto di Greenpeace “Uno alla volta” sul carbone e le morti maledette che ne accompagnano l’utilizzo come fonte energetica, presentato in occasione del Festival del Cinema di Roma.
D) Calopresti, all’estero si nota una grande presenza del tema clima, sia nei documentari, che in modo trasversale in alcuni film, come tema di un mondo che sta cambiando. Anche alcune produzioni stanno diventando green: nella produzione cinematografica stessa c’è una trasformazione in corso. Cosa avviene in Italia?
R) E’ una domanda molto interessante: questa è una battaglia che bisogna cominciare. Anche nel cinema italiano si dovrebbe iniziare a lavorare con una mentalità che includa l’etica ambientale al suo interno. Un esempio: sui set abbiamo una quantità enorme di bottigliette di plastica; e poi quindi abbiamo una enorme quantità di plastica abbandonata a fine giornata: questa cosa non deve succedere. Occorre individuare una responsabilità individuale e di sistema. Se entriamo in un quartiere, e raccontiamo quel quartiere, dobbiamo lasciare qualcosa in cambio, ricambiare lo sfruttamento del territorio, non si può sfruttare il territorio in eterno.
D) Secondo lei, come può essere possibile responsabilizzare il cinema italiano ad essere più rispettoso dell’ambiente?
R) Mi piacerebbe che riuscissimo a creare un manifesto del cinema sul fare cinema: produrre cinema con delle formule di attenzione all’ambiente, alla vita delle persone, etc. Un piccolo manifesto su come comportarsi, perché penso che sia necessario che ci sia una responsabilità individuale sul tema dell’ambiente, sul tema della salvaguardia e l’attenzione alla vita delle persone. Perché la base della vita è nei drammi di tutti i giorni: quindi clima, vita delle persone, territorio da difendere. Cominciare a difenderlo mentre lavoriamo sarebbe già un passo avanti. E’ un’idea che io cercherò di lanciare e che potrebbe obbligare le produzioni a lavorare in maniera più rispettosa dell’ambiente. Si potrebbe partire dalle film commission, dai finanziamenti alle produzioni, che dovrebbero in cambio agire in maniera ecologica. Sarebbe un passo veramente molto importante per il nostro cinema, che può vincere questa battaglia, anche se non è semplice.
D) Prima di girare il corto con Greenpeace, con Alessandro Haber, aveva avuto esperienze precedenti di documentari sull’ambiente?
R) No, non avevo esperienze precedenti nel raccontare l’ambiente. Avevo collaborato con associazioni che si occupano di questioni sociali come di razzismo per esempio, ma è la prima esperienza sull’ambiente. Mi piace pensare che faccio un lavoro che può permettersi di occuparsi degli altri o di altro. In questo caso di clima, che è una cosa di cui ci dobbiamo occupare con grande attenzione.
D) Nella scelta delle location e dei set normalmente si presta attenzione all’ambiente?
R) Al momento c’è poca coscienza e poca voglia di occuparsi di queste cose; molta fretta di lavorare, molta economia, come sempre l’economia spinge tutto. Per fare in fretta e spendere meno alcune volte si calpestano i diritti degli altri, l’ambiente, etc.
D) Da adesso in poi, starà dunque “attento” all’ambiente?
R) Starò attento, promesso!
Veronica Caciagli