L’enigma di Flatey
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “L’enigma di Flatey” di Viktor Arnar Ingólfsson , edito da Iperborea (pag. 288 , 16.50 euro).
Il vento soffiava da est sull’alba del Breiðafjörður e una pungente brezza primaverile sollevava onde spumose nei bracci di mare tra le isole dell’Ovest. Una fratercula sfrecciava intrepida a volo radente sulla cresta dei marosi, e un cormorano curioso si sgranchiva le ali su uno scoglio piatto. Qualche uria si tuffava tra i flutti, mentre in alto volteggiavano superbi i gabbiani, in cerca di possibili prede.Tutto il creato del fiordo si era destato alla vita, sotto il sole sfavillante del mattino.
Una piccola ma solida barca a motore, salpata dall’isola di Flatey, solcava le onde diretta verso sud. Era stata costruita con rimasugli di vecchie barche a remi, poi rivestita di pece, e sulla prua portava il nome dipinto a grandi lettere maiuscole bianche: corvo. A bordo c’erano tre persone: un bambino, un uomo di mezz’età e uno visibilmente più anziano. Tre generazioni di una famiglia che viveva a Ystakot, una piccola fattoria sulla punta occidentale di Flatey.
Il vecchio, Jón Ferdinand, stava al timone. Barba bianca e ispida sul volto grinzoso e una striscia nera di tabacco da fiuto sotto le narici dilatate. Qualche ciocca di capelli grigi sfuggita dal vecchio berretto da marinaio si muoveva al vento sferzandogli il viso. La manona ossuta stringeva saldamente la barra del timone, e gli occhi antichi, sotto le sopracciglia irsute, cercavano un’isoletta a sud. La visibilità era buona, ma non era facile mantenere la rotta. L’orizzonte era disseminato di scogli e isolotti prima di arrivare alla terraferma, con le alture di Dalir che si stagliavano in lontananza nel crepuscolo blu.
Jón Ferdinand guidava la barca in modo da prendere le onde di prua e solo dopo correggeva la rotta. Il piccolo natante era difficile da governare con il mare grosso, quando i flutti potevano colpirlo di lato, ma il vecchio navigava seguendo il suo istinto, e quella battaglia contro il mare pareva anzi divertirlo.
Seduto sulla panchetta fuori dal vano motore c’era Guðvaldur, il figlio del timoniere, che fumava la sua pipa mentre affilava un temperino. A capo scoperto e con un pesante maglione di lana, voltava le spalle ai cavalloni per proteggere la pipa dagli spruzzi d’acqua che di tanto in tanto lo raggiungevano. Il suo volto rude era segnato dalle intemperie, e l’occhio sinistro era cieco a causa di un infortunio: quando la ferita si era rimarginata, il bulbo oculare era diventato completamente bianco. L’altro occhio era nero come il carbone. Guðvaldur portava il nome di un parente morto da lungo tempo, che era comparso in sogno a sua madre chiedendole di battezzare così il bambino che aspettava. Ma tutti, sull’isola di Flatey, lo conoscevano come Valdi di Ystakot.
Un’onda anomala si abbatté sulla barca spruzzandogli la nuca riccioluta. Valdi alzò la testa e si voltò verso prua. “Papà, sta’ attento!” gridò brusco. “Guarda che dobbiamo andare a Ketilsey, punti troppo a sud.”
Il vecchio sorrise, scoprendo i pochi denti ingialliti e le gengive sdentate. “Troppo a sud, troppo a sud”, ripeté con la sua voce roca, e aggiustò la rotta. Dopo essersi accertato che procedevano nella direzione giusta, Valdi riprese a fumare la pipa e a occuparsi del suo coltello.
Il piccolo Nonni, il figlio di Guðvaldur, stava seduto su una vela ripiegata aggrappandosi con entrambe le mani alla falchetta. Aveva freddo e soffriva il mal di mare, cosa a cui del resto si era ormai abituato imparando a tenere a bada brividi e nausea, ma in quel momento il suo problema maggiore, e assai poco marinaresco, era il bisogno urgente di un gabinetto. Quella mattina si era alzato tardi, e nella fretta aveva dimenticato di andarci prima della partenza. Al padre non aveva detto niente, perché Valdi gli avrebbe semplicemente fatto cenno di appollaiarsi sulla falchetta e farla in acqua, prospettiva che, con quel mare agitato, non trovava certo allettante. Di tanto in tanto si allungava a vedere se la meta fosse più vicina, ma la barca procedeva lenta, allora tornava a rannicchiarsi sulla vela ripiegata, si mordeva le labbra concentrandosi sul suo sfintere contratto e strizzando gli occhi continuava a mormorare tra sé: “Oh mio caro e buon Gesù, oh mio caro e buon Gesù, fa che tenga la pupù.”
Sbirciò di nuovo a prua.
“Papà, papà”, gridò. “Il nonno si è incantato ancora.”Valdi alzò lo sguardo e si voltò verso il vecchio. “Stai virando troppo a est. Dobbiamo andare a Ketilsey, ti ricordi?A caccia di foche.”Per un attimo il vecchio sembrò confuso, ma poi tornò in sé, lottò con un’altra onda e puntò dritto verso l’isola ormai vicina. Quindi guardò Valdi borbottando: “Allora andarono a Ketilsey, a cercar sedici foche.”
Valdi non rispose, infilò in tasca il coltello e svuotò la pipa battendola sulla falchetta. Poi tornò a poppa.
La marea era bassa e l’approdo sul lato meridionale era ben riparato. Valdi prese il timone mentre Jón Ferdinandsi teneva pronto con la piccola ancora a pietra, legata a una lunga catena. La barca tagliò un’onda che s’infranse sugli scogli, poi Valdi spense il motore e il vecchio gettò l’ancora. La catena cominciò a scorrere fuori bordo, spaventando con il suo sferragliare gli uccelli intorno che si levarono in volo. Una foca emerse curiosa dall’acqua a breve distanza, per poi tornare a scomparire fulminea nelle profondità marine. Il piccolo Nonni era pronto a prua e non appena l’ancora ebbe stabilizzato la barca afferrò un massiccio anello di ferro arrugginito fissato a uno scoglio, vi infilò una cima e la legò stretta. Poi sfrecciò a poppa, allungò una mano nel vano motore e prese un involto di giornali vecchi. Valdi guardò il ragazzino balzare a terra e scomparire dietro le rocce. [...]
Viktor Arnar Ingólfsson*
*Viktor Arnar Ingólfsson, nato nel 1955 a Akureyri e cresciuto a Reykjavik, è uno dei più apprezzati giallisti islandesi. Autore di cinque romanzi, da alcuni dei quali sono state tratte serie tv di successo, alterna l’attività di scrittore a quella di ingegnere civile per la Pubblica Amministrazione delle strade. Con L’enigma di Flatey è stato nominato per la seconda volta al prestigioso premio Glass Key per il miglior giallo nordico. I suoi romanzi sono pubblicati in Germania, Inghilterra, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.