Paesaggio e conservazione: come trovare la sostenibilità economica?
Si è tenuto venerdì 5 ottobre, al Museo di Scienze Naturali di Torino, il convegno internazionale “Paesaggio: cura, gestione, sostenibilità“, promosso dalla Fondazione Ordine degli Architetti di Torino, dall’Ente di Gestione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese e dall’Assessorato Urbanistica e Programmazione territoriale, Beni Ambientali della Regione Piemonte, nel contesto della Biennale “Creare Paesaggi“, arrivata alla sua sesta edizione.
La riflessione ha principalmente riguardato, quest’anno, la sostenibilità economica dell’opzione conservativa e, più in generale, delle politiche del paesaggio. “L’orientamento che deve adottare il nostro Paese per adeguarsi agli obiettivi di sostenibilità richiesti dall’Unione Europea ‒ che ha stabilito la necessità di ridurre le emissioni del 20% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050 ‒ è quello di non occupare più suolo e recuperare l’esistente, attraverso processi di governance che coinvolgano enti internazionali come l’UNESCO, nazionali e locali, amministrazioni e comunità”, ha chiarito, nell’introduzione al dibattito, il vicepresidente della Regione Ugo Cavallera, che ricopre anche il ruolo di Assessore all’Urbanistica e Programmazione Territoriale, ai Beni Ambientali e all’Edilizia.
Si deve quindi iniziare a lavorare per il paesaggio, con il paesaggio: fondamentale in questo processo sono le competenze poste in gioco e gli strumenti di gestione, al fine di mettere a fuoco le prospettive di cambiamento. Secondo Claudia Cassatella, docente del Politecnico di Torino e parte del comitato scientifico della Biennale, “esistono numerosi buoni esempi del fare paesaggio ed è quindi importante studiarne le componenti, in quanto molte volte si arriva ad un buon risultato ma senza che ne siano indicati i passi”. Proprio per esplicitare queste buone pratiche, all’interno della giornata sono state illustrate alcune esperienze esemplari, sia italiane che internazionali. Casi di studio nazionali che stanno facendo scuola sono, infatti, la candidatura a patrimonio dell’umanità UNESCO di Langhe-Roero e Monferrato ‒ in via di approvazione ‒ e i siti (già oggi sotto tutela UNESCO) delle Dolomiti e della Val d’Orcia: un modello condiviso di valori di paesaggio e senso dei luoghi, il primo, un paesaggio culturale con integrato piano di gestione, il secondo. Ma sono di estremo interesse, sul tema, anche casi europei, come quello dell’architetto paesaggista Eric Luiten per i siti del World Heritage Sites WHS in Olanda ‒ dove “use, re-use and new-use“ è la chiave di ogni trasformazione; oppure il caso francese presentato da Didier Martinet, Directeur Général de la Société Gestionnaire des Espaces du Rhone Amont, “dove è stato elaborato un progetto congiunto di recupero e gestione su 3.000 ettari di parco vicino a Lione tramite la SEGAPAL, Società Urbana di Trasformazione, e alle colture cerealicole tradizionali si sono preferite quelle biologiche, visto che un buon paesaggio deve produrre benessere e ricchezza”; o, ancora , il caso spagnolo del sistema dei parchi di Barcellona, illustrato dall’architetto José Oriol Ribera Cabestany, Cap de Projects y Obres Area Metropolitana Barcellona: “progettare il paesaggio in prossimità di una metropoli, caso sempre più diffuso – ha detto Ribera Cabestany – è un’operazione difficile e richiede nel paesaggista una particolarità sensibilità . Un prato innevato risulta immacolato in natura, ma mutato inesorabilmente al passaggio di un uomo. Non è detto che le trasformazioni antropiche siano sempre giuste e necessarie.”
A Paolo Castelnovi ‒ docente del Politecnico di Torino e animatore del progetto LandscapeFor ‒ il compito di trarre le conclusioni del convegno. “Oggi non si ha più quel rapporto diretto con la natura, proprio invece del mondo agricolo: è necessario abitare il territorio e non limitarsi alla contemplazione per la paura di rovinare un paesaggio. Agendo, bisogna trovare la modalità perché una fruizione attiva sia anche sostenibile” . L’elemento chiave per una progettazione di paesaggio sostenibile sembra dunque risiedere nell’avvicinare la natura e la città: ricordando che l’80% dei luoghi dove l’uomo abita è periferia periurbana. ”Dobbiamo scrivere un nuovo capitolo della storia del paesaggio – conclude Castelnovi - è fondamentale che si accompagnino le trasformazioni attive del territorio con risorse professionali ed economiche. In questo processo di governance devono intervenire soggetti operanti e collaboratori, agendo con competenza ai diversi livelli interscalari e dimezzando le tempistiche di attesa”. La velocità di azione. Ecco il punto debole! Una componente fondamentale nella gestione del paesaggio, che si può raggiungere semplificando la burocrazia e utilizzando attori più direttamente coinvolti, con l’obiettivo di arrivare ad un risultato di interesse complessivo. “Dobbiamo ricordarci che il paesaggio è un bene collettivo: la cura del territorio coinvolge ogni cittadino sulla base di una relazione affettiva. Prendiamoci cura dei paesaggi, perché sono casa nostra”, aggiunge Claudia Cassatella. La palla, quindi, anche in questo caso, passa al cittadino. Ma la politica saprà aiutarlo?
Valentina Burgassi