Falso biologico: svelate tutte le truffe
“Il biologico è stato vittima, in un certo senso, del suo stesso successo”. Per il comandante della Guardia di Finanza di Verona, colonnello Bruno Biagi, si spiegano così le truffe perpetrate in campo alimentare: il maggior valore che il mercato riconosce ai prodotti naturali rispetto a quelli convenzionali ha spinto molte aziende a “travestire” da biologiche anche merci tradizionali. Come? Sfruttando gli stessi strumenti (e debolezze) della normativa di tutela dei prodotti: falsificando o manipolando i certificati, corrompendo funzionari o artefacendo le attestazioni di trasporto, o, ancora, con intermediari-fantasma che allungano i tempi dei controlli.
In un convegno organizzato da FederBio al Sana, la fiera del naturale e del biologico chiusasi ieri a Bologna, sono state illustrate tutte le strategie delle bio-frodi e le tecniche per contrastarle. A far da apripista, l’indagine della Finanza denominata “Gatto con gli stivali”, durata 2 anni e partita da un controllo fiscale. “Ci siamo insospettiti per un aumento incogruo del volume d’affari di una società – racconta il colonnello Biagi – un aumento del 600 per cento in due anni, senza alcuna modifica nella struttura dell’azienda”. Solo controlli certosini sulla documentazione, però, hanno permesso di scoprire violazioni alla norme sulla tracciabilità dei prodotti, a fronte di una apparente regolarità contabile. Grazie a verifiche incrociate, anche in collaborazione con il Ministero per le politiche Agricole e il NAS di Padova, è emerso inoltre il ricorso costante agli stessi vettori. Controllando fattura per fattura, gli investigatori hanno appurato incogruità tra percorsi indicati e tempi di consegna, tra merci e destinazioni: le registrazioni dei passaggi autostradali dei camion hanno spesso rivelato itinerari completamente diversi e, in alcuni casi, le merci non si erano affatto mosse dai magazzini. Alla fine dell’indagine, sono state sequestrate 2.500 tonnellate di prodotti falsamente biologici, ancora presenti nei silos, ma risultavano rapporti economici per oltre settecentomila tonnellate di prodotti già commercializzati, ormai finiti sulle tavole di ignari consumatori.
“La normativa sul biologico nasce per l’agricoltura – ha spiegato Giacomo Mocciaro, dell’Ufficio Agricoltura Biologica del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – Il regolamento, che prevede una minuziosa serie di prescrizioni per l’azienda agricola, è stato poi adattato ai soggetti importatori o preparatori. Ma quando la catena di commercializzazione si allunga, perchè ci sono più intermediari oppure operatori esteri, si ha più difficoltà a reperire informazioni e ad effettuare i controlli”.
Può capitare così che il falso certificato sia rilasciato all’estero, e non sempre scoperto. Ma anche in caso di accertamento, quando l’organismo di controllo del Paese estero attesti la falsità del documento, non si può che limitarsi a declassificare interi lotti di merce. Per non parlare di quei prodotti deperibili, come frutta e ortaggi, oggetto preferito dai malfattori perchè scompaiono presto dai magazzini e sono quindi più difficili da sequestrare.
Altri casi: certificati autentici, scaricati dal web e contraffatti, o Programmi Annuali di Produzione (PAP) artatamente gonfiati, così da far risultare una enorme produzione biologica, quando lo è solo in parte. Proprio i “flussi di carta”, la mole di differenti attestazioni e documenti che accompagna i vari passaggi della produzione e che certifica la naturalità del prodotto finito, si presta ad agevolare operazioni fraudolente. “L’esistenza sul mercato di certificati diversi, anche per uno stesso Paese – avverte Daniele Fichera di FederBio – non può che complicare l’azione di polizia”. La burocrazia, dunque, raggirata con i suoi stessi metodi. Un paradosso non solo italiano, peraltro, ma ormai assurto a livelli transnazionali.
Con la tattica della multicertificazione, per esempio, un’azienda ottiene da un ente di controllo la certificazione per un lotto di derrate biologiche. Ma sottopone poi lo stesso carico a più enti, ognuno ignaro degli altri, ottenendo così l’emissione di più certificati e usandoli a copertura di identici quantitativi di prodotti non bio.
Altro caso riscontrato è quello della simulazione di più intermediari tra venditore e acquirente, soggetti certificati ma che, nel giro di pochi mesi, recedevano dal mercato: tattica dilatoria in grado di rallentare i controlli. Altro punto debole del sistema della certificazione è la mancanza di un codice doganale specifico per il prodotto bio. “Alla dogana – ammettono dal Ministero – il pomodoro bio è uguale a quello convenzionale”. Infine, la difficoltà a intercettare gli operatori usciti dal sistema perchè decaduti dalla certificazione, e che però continuano a vendere.
Vietata in Italia solo di recente – il Decreto ministeriale n.10071 del 3 maggio 2012 impone l’obbligo di un unico organismo di controllo – la multicertificazione può essere seriamente ostacolata solo con l’informatizzazione e la creazione di banche dati ad accesso diretto per autorità di controllo, Regioni e Finanza.
I provvedimenti già adottati, proprio a fronte delle frodi sventate e delle criticità segnalate dal Ministero alla Commissione Europea, sono tutti all’insegna del tecnologico: un elenco nazionale, unico, degli operatori del biologico, con documento giustificativo on-line, e collegato con l’anagrafe tributaria. Quindi l’informatizzazione di tutta la documentazione degli operatori, introdotta dal D.M. n. 2049 del 1° febbraio 2012: dati standard e aggiornati in tempo reale, per un collegamento al fascicolo di un soggetto che consenta di verificarne dal documento giustificativo alle notifiche ricevute come operatore biologico e finanche i dati catastali e tributari. E a questa banca dati gli organismi di controllo e le Autorità avranno accessi diretti per effettuare verifiche incrociate.
Da ultimo, ma non meno importante, il recente D.M. n. 18378 del 9 agosto 2012, che attua un regolamento europeo del 2008 riguardante il regime di importazione di prodotti biologici dai Paesi extra UE.
Cristina Gentile