City 2.0: la città del futuro non vuole restare un’utopia
Oggi molte città, in tutta Europa, si candidano a diventare città intelligenti: il termine smart (talvolta abusato) rappresenta un’evoluzione del concetto di città del futuro, secondo cui la tecnologia deve essere al servizio dei cittadini e di una migliore qualità di vita nonché di un contesto ambientale più sostenibile – e non il contrario. Di questo e altro si è parlato, sabato 2 giugno, a Torino, in occasione della presentazione del libro “City 2.0”, inserita nel contesto del Festival Architettura in Città.
Emilia Blanchetti, coordinatrice scientifica del Festival dell’Energia, Fabio Casiroli, docente del Politecnico di Milano e Piergiorgio Turi, della Fondazione OAT, hanno illustrato il testo, che si rivolge ad architetti, ingegneri, sociologi e comprende anche i contributi di Marc Augé, noto antropologo francese, di Carlo Ratti, Direttore del SenseAble City Lab al MIT di Boston, e di altri contributors di fama internazionale, interpellati sulla definizione di un futuro più sostenibile e intelligente per le città del mondo.
L’Unione Europea si sta infatti impegnando a raggiungere target ambiziosi per ridurre le emissioni di anidride carbonica e promuovere fortemente fonti rinnovabili ed efficienza energetica entro il 2020: considerato che nelle città si consuma il 70% dell’energia emessa, è in questo contesto che si deve ovviamente intervenire. La Commissione Europea ha dunque lanciato, lo scorso giugno, l’azione Smart Cities & Communities Initiative, con l’obiettivo di sviluppare strategie modello per settori fondamentali quali, appunto, energia, trasporti e ICT. “Perché una città possa fregiarsi dell’etichetta di Smart, però, deve godere di pianificazione territoriale e di trasporti integrati e sapienti: oggi, purtroppo – sostiene Casiroli – assistiamo spesso ad una tendenza che corre in direzione opposta: il progressivo e veloce inurbamento nelle città presenta i caratteri del caos e della spontaneità più totali. Un punto importante di trasformazione sarebbe certamente quello di modificare radicalmente la mobilità urbana delle città esistenti, riorganizzando la micro mobilità in modo consapevole”.
Ripensare la qualità degli spazi urbani e, nel complesso, le realtà in cui viviamo quotidianamente, rientra alla perfezione nel concetto di una smart city: lo spazio pubblico difatti, fruibile per definizione da tutti, diventa veicolo di un messaggio ambientale che, attraverso la tecnologia, raggiunge un vastissimo pubblico, soprattutto tra i giovani. Nella città intelligente si cerca di ridare un’identità a quello che viene individuato come spazio dell’anonimato, quello che l’antropologo Marc Augé ha definito come il non luogo. In questa direzione si muove anche il progetto pilota Smart is Trees, presente dal 30 maggio al 5 giugno in Piazza Vittorio Veneto a Torino. Si tratta di un sistema di Landscape Urbanism costituito da una rete di piattaforme interattive alberate che comunicano con la città attraverso QRcode. Un’occasione in cui i cittadini, tra l’altro, potranno fruire gratuitamente della connessione wifi al sito smartistrees.com. “Noi rendiamo un luogo protagonista ed interattivo, non solo un posto di passaggio: è uno spazio che ti fa essere nella vita sociale, e non nel social network” affermano gli architetti Gueli e Linguerri, ideatori del progetto.
Il recupero e la riqualificazione di spazi pubblici sarà uno dei primi step per un futuro più sostenibile: “le Nazioni Unite in occasione dell’imminente Rio +20 hanno tradotto il termine smart come sostenibile e non più letteralmente intelligente, perché di fatto una città sostenibile è anche intelligente” sostiene l’architetto Linguerri. “Qualcosa si muove davvero quindi – conclude Emilia Blanchetti – la città intelligente ha tutte le carte per trasformarsi da non luogo utopico a spazio reale per i cittadini di domani”.
Valentina Burgassi