Rinnovabili? Bella idea, ma non nel mio giardino
Il parlare, sempre più frequente, di nuove tecnologie e di energie rinnovabili, rende interessante il concetto di accettabilità sociale delle stesse. Nonostante quasi nessuno si dichiari contrario al “rinnovabile” come concetto in sè, capita che, al momento dell’accettazione, da parte delle comunità locali, di un impianto invasivo sul proprio territorio, si crei qualche problema.
Negli anni ’70-’80, quando si affermarono le prime politiche energetiche, l’ampio consenso registrato nei sondaggi dalle energie rinnovabili fece sì che autorità locali, aziende e sviluppatori non considerassero la questione dell’accettabilità sociale come variabile importante nella stesura di un progetto. I governi hanno successivamente imparato ad accompagnare la ricerca tecnologica a programmi di sensibilizzazione: fiere, campagne pubblicitarie e programmi televisivi hanno contribuito ad abituare il cittadino nel considerare le fonti rinnovabili un’alternativa reale e auspicabile.
La difficoltà nel diffondere queste tecnologie deriva tuttavia dalle sostanziali differenze che queste presentano rispetto agli impianti tradizionali. Gli impianti rinnovabili necessitano infatti di spazi maggiori, hanno una densità energetica inferiore e non possono competere a livello di costi inziali.
Secondo la definizione proposta da Wustnhagen, Wolsink e Burera, l’accettabilità sociale di una tecnologia va quindi considerata secondo tre distinte dimensioni: socio-politica, della comunità e del mercato. La prima si limita agli aspetti generali registrando generalmente – per quanto riguarda le rinnovabili – un ampio consenso. Come il mercato adotti, sviluppi e diffonda l’innovazione tecnologica (accettabilità del mercato) non è, nemmeno questo, un punto particolarmente problematico. La dimensione dell’accettabilità della comunità si riferisce invece alla scelta dei siti per l’installazione degli impianti e considera l’opinione dei cittadini residenti nel luogo prescelto. E’ a questo livello che si registra il cosiddetto fenomeno NIMBY (acronimo inglese per “Non nel mio giardino”), per il quale un individuo condivide lo sviluppo dell’energia rinnovabile fintanto che questa non incida sugli interessi locali o personali.
Un famoso caso di studio è l’accettabilità degli impianti eolici di Wolsink, che sembrerebbe seguire una curva ad U. Da una fase iniziale di accettazione del progetto si passa ad un generale dissenso (legato alla possibilità che l’impianto venga collocato nell’area di residenza dei cittadini intervistati) ed infine – una volta che l’impianto viene installato e reso operativo - l’accettazione ritorna solitamente a livelli positivi.
Il sito accettabilitasociale.com, propone un questionario di indagine sui fattori che determinano un minore o maggiore livello di accettabilità sociale degli impianti per la produzione di energia rinnovabile.
Attraverso un percorso articolato in 12 step si cerca di capire quanto si conoscano realmente le diverse tecnologie (dal solare termico alla biomassa fino al mini-eolico) e quali timori esse generino nella popolazione. La percezione delle dimensioni, l’importanza dei benefici ambientali, la capacità attesa e la partecipazione ai benefici economici, sono alcuni dei fattori considerati. Nel rispondere alle domande ci si rende effettivamente conto di come una conoscenza superficiale delle tecnologie in questione possa spesso influenzare giudizi negativi privi di fondamento. Un messaggio importante che dovrebbe far riflettere sull’esigenza di un’informazione e formazione più diffuse.
Ilaria Burgassi