A ciascuno le sue emissioni
Il nome di Massimo Tavoni probabilmente non fa venire in mente nulla alla maggior parte degli italiani. Eppure la CNN, The Economist, New York Times, Newsweek e molte altre testate internazionali hanno dato ampia copertura al progetto che Massimo Tavoni, insieme ad altri ricercatori dell’Università di Princetone, ha realizzato e che si è posizionato al 12^ posto nella classifica del Time delle 50 migliori invenzioni dell’anno.
“Sharing Global CO2 Emissions Reductions Among One Billion High Emittens”, ovvero “Condividere le emissioni globali di CO2 tra 1 miliardo di grandi emettitori”, è uno studio, pubblicato sulla rivista Proceeding of the National Academy of Sciences, che propone un nuovo e diverso approccio al problema delle emissioni di CO2, tema di attualità ad una settimana dal vertice di Copenhagen.
Massimo Tavoni, senior researcher italiano della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e del Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (Cmcc), prospetta infatti un nuovo calcolo basato sull’unità individuo: bisogna ragionare in termini di singoli soggetti e non in base al conteggio per paesi (come per altro richiesto in questi giorni dai paesi emergenti), perché metà delle emissioni di CO2 dipendono da meno di un miliardo di persone contro i 6,8 miliardi presenti sulla Terra.
Due individui che producono la stessa quantità di emissioni di CO2 e contribuiscono quindi nella stessa misura al cambiamento climatico, devono essere trattati allo stesso modo, indipendentemente dal luogo nel quale vivono. Tavoni propone di calcolare il livello di emissioni dei cittadini delle varie parti del mondo per individuare chi sono i “grandi emettitori”. I fattori che entrano in gioco per determinare questo valore sono il lavoro, il reddito e lo stile di vita della persona in questione. Ad esempio la media dei Paesi in via di sviluppo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è abbastanza bassa: ciò è dovuto al fatto che ospitano un gran numero di persone che vivono ai limiti o al di sotto della soglia di povertà (hanno quindi consumi energetici molto bassi) e una più piccola parte di persone che vivono secondo uno stile di vita “occidentale” (con consumi decisamente elevati).
Ad oggi la strategia adottata non tiene conto di questo divario perché calcola i consumi energetici su media nazionale, senza individuare coloro che inquinano di più o di meno rispetto alla media. E’ necessario quindi andare oltre la stima per paese e fare un calcolo basato sulla distribuzione dei grandi emettitori nel mondo. Si potranno così capire le reali responsabilità dei singoli Paesi e fissare target nazionali che rendano possibile la condivisione dell’obiettivo anche con i cosiddetti “emergenti”.
Diventa dunque di fondamentale importanza individuare un valore che possa essere accettato per tutti i Paesi, un valore che possa essere applicato individualmente e che rappresenti il limite di emissioni “pro capite”. Secondo gli studi effettuati da Tavoni una singola persona può emettere annualmente fino a un massimo di 10,8 tonnellate di CO2, se si vogliono rispettare i parametri prefissati per il 2030. Grazie a questo calcolo è facile determinare di quanto uno Stato debba ridurre il totale delle proprie emissioni. Ovviamente in ogni Paese ci sarà chi si mantiene al di sotto di tale soglia e chi invece tende a superarla e il totale complessivo sarà calcolato sommando tutte le singole riduzioni degli “alti emettitori”. Starà alle politiche interne delle singole nazioni agire sulle abitudini dei propri cittadini per rispettare gli standard stabiliti.
Ilaria Burgassi