Pecora Nera, un ragazzo che ha scelto di vivere nella natura
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi in anteprima un estratto del libro “Pecora Nera. Un ragazzo che ha scelto di vivere nella natura” di Devis Bonanni (disponibile in libreria dal 7 marzo 2012 – pag.208), edito da Marsilio .
«Si definisce pecora nera della famiglia o di un gruppodi conoscenti un individuo che ha imboccato una cattiva strada o che non soddisfa le aspettative degli altricomponenti.»
Lasciai scivolare il dizionario tra le gambe e vidi Eros allargare un sorriso di soddisfazione dentro il calice di vino. Ne prese un lungo sorso e rimase a fissarmi insilenzio. Infine, scandì lentamente le parole “pecora” e “nera”. «Io ti battezzo Pecoranera!» e scattò verso di me, afferrandomi e scuotendomi da far male mentre ripeteva istericamente, quasi fosse posseduto dal demonio:«Io ti battezzo Pecoranera!» Mi agitava così forte che, mentre ripetevo la formula, la mia voce usciva a singhiozzi. Lasciata la presa, balzò sul terrazzo e prese a urlare alla notte. Frasi incomprensibili mentre la pioggia gli batteva sulla fronte.
Era ubriaco, eravamo ubriachi. Recuperate a fatica le mie facoltà respiratorie, con un gesto automatico, mi accesi una sigaretta. Socchiusi gli occhi dentro la nuvola di fumo. Non sono mai riuscito a esternare alcuna emozione mediante l’espressione fisica. Mentre il mio amico seguitava ad agitarsi facendo vibrare pavimento e soffitto, io rimanevo immobile in una sorta di autismo emotivo. Un’abitudine, quella di rimanere impassibile di fronte alle emozioni più grandi, che mi avrebbe accompagnato per molti anni ancora. È un mio modo particolare di rendere omaggio alla bellezza della vita, quello di esplodere dentro mentre tradisco appena una sfumatura di contentezza sul volto.
Di tanto in tanto uscivo dalla trance per controllare che l’agitazione del mio amico rimanesse entro limiti accettabili.
Finita la sigaretta, Eros stava di nuovo sul divano, steso sulla schiena, con le mani dietro la testa, fissava il soffitto. Silenzioso. Stava pensando a chissà quale futuro, a chissà quale storia. A quel tempo portava lunghi capelli heavy metal e indossava t-shirt dei Gun’s & Roses, nel tentativo di apparire un duro tradiva ancor di più la sua indole bonaria e conciliante. Proprio non gli riusciva di mascherare il suo essere, fondamentalmente, un bravo ragazzo.
Quanto a me, mi ero già guadagnato una certa fama di tipo stravagante con la mia mania di andar per boschi a costruir capanne e contemplare una Natura di cui nessuno s embrava accorgersi. I compaesani mi avevano già messo in bocca tutte le droghe di questo mondo ma paradossalmente mi capitò di fumare la prima canna solo qualche anno più tardi. La Carnia è così, è lontana da tutto, pure dalle droghe. Abbiamo solo il vino, noi, per le nostre piccole fughe domestiche nei giorni di noia e pioggia.
Tornando a noi, noi due, Devis ed Eros, eravamo anarchici. Io leggevo di Bakunin e Malatesta e tenevo dei brevi comizi a suo beneficio, dal ramo di un albero. Lui ascoltava, non gli è mai piaciuto leggere. Durante le interminabili camminate nei boschi ci confrontavamo con gravità. Eravamo particolarmente nauseati dalla vita che intuivamo condotta senza cura alcuna dai nostri compaesani. Cercavamo la poesia, l’avventura dentro la nostra testa prima che nei nostri passi. Fanno così i giovani, da sempre. C’è chi trova tutto nello scarico di un motorino e chi in quattro chiacchiere rivoluzionarie. Tutto qui. Sapere che qualcuno, in un tempo diverso, in un luogo diverso, aveva avvertito lo stesso disagio ci faceva sentire meno stupidi. Purtroppo o per fortuna l’unico anarchico che conoscevo era Eros e viceversa. Che si sapesse, non avevamo altri appoggi nei dintorni. Ma un anarchico è un gatto nero, è un cattivo pensiero e come tale si nasconde furtivo nelle tenebre della segretezza. E quando lo riconosci, quando ce l’hai davanti e sei proprio sicuro che sia lui quello che cerchi, allora ti guarda e, come faceste parte di una schiera di eletti, ti chiede sottovoce, con gli occhi che scappano ovunque a controllare che non ci sia un Grande Fratello ad ascoltarvi, allora ti chiede, ti chiede sottovoce: «Ma sei anarchico,tu?» Tutto ciò non accadde mai e così eravamo io ed Eros, Eros e io, a essere anarchici nel nostro piccolouniverso. Per figurarvi il nostro isolamento, confesso che non sospettammo mai neppure l’esistenza dei centri sociali, i libri che avevo letto non ne facevano menzione.
Alla fine dei fatti, Eros si era addormentato sul divano. Ma non dormiva del sonno tormentato dal vino, piuttosto gli si leggeva in faccia che stava facendo un sogno, un sogno bellissimo, qualunque cosa stesse sognando doveva essere meravigliosa. Gioiva e russava forte. Io me ne ero uscito sul terrazzo a guardare quella muraglia d’acqua, un’inondazione verticale. November Rain aveva suonato allora lo stereo, da dietro la vetrata. Passò del tempo in cui non trovai di meglio da fare che rimanere lì a farmi bagnare le labbra dalla pioggia. Poi, attraverso le gocce, scartandone una dopo l’altra, era arrivato il primo rintocco di campana, e altri cinqueancora. Dunque erano le sei. E qualche minuto dopo, altri sei ancora a confermare che sì, erano proprio le sei. Uscimmo dalla casetta, in silenzio. Non c’era nulla da aggiungere. Era una domenica pomeriggio d’autunno, buia e umida come ne abbiamo conosciute tante. Ci salutammo all’angolo della via, senza salutarci.
PECORANERA di Devis Bonanni from Marsilio TV on Vimeo.