“Corpi di scarto”, nella discarica di Elisabetta Bucciarelli
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “Corpi di scarto” di Elisabetta Bucciarelli, edito da Edizioni Ambiente (pag. 224 , euro 15.00).
Lo ziggurat formava un bastione di controllo sul lato a sinistra. Saddam lo zoppo, era seduto sul primo gradone, non riusciva ad arrampicarsi se non aiutato almeno da due altri. Ma una volta arrivato sulla cima restava per ore da solo, a guardare l’orizzonte, da tutti i lati. Gli strati erano cinque, sovrapposti uno sull’altro, e formavano una piramide perfettamente simmetrica. La prima di dieci, allineate e pronte per l’uso. Gli abitanti della discarica ci saltavano sopra quando l’umore era alto.
C’era poco da trovare, ormai la compressione aveva reso tutto omogeneo, tuttavia poteva sempre capitare di sfilare qualcosa di utile. Dalle zone off limits soprattutto, quelle che venivano bruciate di nascosto, alle prime ore del mattino, quando nessuno avrebbe né visto, né sentito. Nessuno tranne loro, gli abitanti della zona viva: Saddam lo zoppo, Lira Funesta, Argo Zimba e Iac. Disomogenei per età e provenienza. Ma stabili sul territorio. Ognuno con la propria baracca. La casa, come la chiamava Saddam. Il covo, quello di Argo. E il rifugio, quello di Iac. Lira Funesta invece, era in transito provvisorio, non aveva ancora deciso di abbandonare il tetto solido della casa materna. Andava e veniva.
Lo ziggurat consentiva sempre di osservare la superficie dall’alto. Sull’ultimo gradone si riusciva persino a verificare l’arrivo dei camion. La discarica era estesa qualche chilometro, forse sette, in teoria avrebbe dovuto rimanere nei confini del muro, ma nella pratica proseguiva fino quasi a lambire i termovalorizzatori. A terra, nella parte ovest, quella degli ziggurat come l’aveva denominata il turco, c’erano i rifiuti già trattati, in belle porzioni quadrangolari, tenuti insieme e compattati come fossero mattoni da costruzione. Saddam sosteneva di aver visto sul volantino di un’agenzia viaggi, dei templi antichissimi con quella identica forma architettonica.
Montagne sacre dall’alto delle quali si dominava il mondo. Nella zona chiamata la putrida, rasente al muro nord, erano ammucchiati i sacchetti sfatti, quelli brodosi e marcescenti sommati ad altro materiale non ben precisato. Limitrofi alla putrida, verso il centro della discarica, venivano appoggiati i sacchetti della pattumiera integri, gli uni sugli altri. Colorati e sfacciati nei loro odorosi rigonfiamenti, ma anche solidi e puntuti. Tutto il resto era anarchia. L’insieme creava un panorama disomogeneo e globalmente effervescente, ci ritrovavi la Mesoamerica, l’India e l’Argentina. Ti pareva di rivedere l’Africa e la Sicilia, l’Egitto e il Brasile. Ombre di gabbiani, escavatori e scavi, memorie quasi d’altri tempi.
Elisabetta Bucciarelli*
*Elisabetta Bucciarelli vive e lavora a Milano. Ha scritto per il teatro, la televisione e il cinema. Tra i suoi romanzi: Dalla parte del torto (Mursia), Femmina de luxe (Perdisa Pop), Io ti perdono (ColoradoNoir / Kowalski, vincitore del Premio Fedeli) e Ti voglio credere (ColoradoNoir / Kowalski). Collabora con la Rai e si occupa di approfondimento culturale per Booksweb.tv. Vincitrice del Premio Scerbanenco 2010.