Il vento porta farfalle o neve
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “Il vento porta farfalle o neve” di Francesco Aloe, edito da Edizioni Ambiente (pag. 304, euro 14.50).
Il tassista apre il finestrino, parla da solo, forse impreca a bassa voce. Un nevrotico. Ci guarda nello specchietto retrovisore.
«Quince y cincuenta.»
Nino gli allunga i soldi e gli consiglia di rilassarsi. Lui ringrazia e va via mostrandoci il dito medio.
L’ostello è osceno. Nel mezzo del nulla, a cinque chilometri dalla città.
Alla reception non c’è nessuno.
«Come fai con le armi?» chiede Nino.
«Non ne ho.»
«Niente pistola?»
«All’aeroporto si sarebbero incuriositi, non credi?»
Mentre parliamo, Nino continua a suonare il campanello. Il trillo riecheggia nell’atrio e nella sala pranzo a fianco, vuota.
Dieci, forse quindici minuti così. Tempo perso ad aspettare qualcuno. Qualcuno che ti darà una stanza con letto matrimoniale, perché è rimasta solo quella.
Qualcuno che parla senza guardarti, che sbadiglia e puzza d’aglio. Qualcuno che avrà più o meno trent’anni, ma ne dimostra il doppio per via della barba incolta e sporca, e che lentamente ti porta alla camera numero 111. La apre rispondendo alla mia domanda.
«Sì, c’è un traghetto ogni tre ore per il Marocco. Il prossimo è alle 16:30 e dal nostro porto fino a Tangeri impiega una quarantina di minuti.»
Torna giù dopo averci dato il bienvenidos a Tarifa.
Noi invece restiamo qui, primo piano, in una stanza che guarda il mare. Si vedono le onde dell’oceano alzarsi all’improvviso, per poi ricadere con calma trascinando con loro i tanti surfisti che le sfidano.
Mi affaccio sul balcone e mi pare di sentire la brezza, gocce minuscole di acqua salata sulla pelle. Il vento è forte, piega le palme che sembrano inchinarsi a me. Fa bene alla mia autostima: dominio assoluto sulla natura.
Dico a Nino che non sarebbe una cattiva idea andare in spiaggia un’oretta, prima di imbarcarci per il Marocco.
Lui risponde che è un’ottima idea andare in spiaggia un’oretta, prima di imbarcarci per il Marocco.
Bagno i lunghi capelli neri e li lego sulla nuca. Prendiamo tutto il necessario e usciamo, lasciando le chiavi giù alla reception.
«Hasta luego!»
Lo dico a nessuno.
Attraversiamo il vialetto e ci dirigiamo verso la strada. Attorno a noi ci sono decine di palme, ancora piccole. Un giardiniere ci fissa per un attimo, asciuga il sudore con l’avambraccio e torna a concentrarsi sull’erba del prato. Il rumore del tagliaerba ci fa da sottofondo e copre il canto dei grilli.
Non faccio caso al terriccio rosso che mi sporca le scarpe né a Nino che sbadiglia e si gratta l’ombelico.
La strada che si apre di fronte a noi è diritta e sembra una retta interminabile fatta d’acqua. A giudicare dall’erba bruciata ai lati, un incendio curioso ha fatto il nostro stesso tragitto di recente. Si sente ancora la puzza del fumo ma l’odore dell’asfalto è più forte. Sento nel naso un lieve bruciore e lo gratto per farlo andare via. Mi succede sempre quando sento odori intensi.
Oltre la strada si vede l’oceano. Tolgo gli occhiali da sole e rimango per un attimo immobile, sovrastato dallo spettacolo di onde bianche e dalle appena percettibili macchie colorate delle vele dei windsurf. Ce ne sono a centinaia.
«Bellissimo!»
Nino accelera il passo, nonostante il caldo. Per fortuna la spiaggia è vicina, a poche centinaia di metri. La
gente è ammassata nei bar. Avvicinandoci al mare, capiamo subito il perché: il vento è forte, i granelli di sabbia colpiscono come minuscoli proiettili e bruciano a contatto con la pelle.
Davanti a noi l’oceano. Le onde enormi sembrano silenziose, perché il rumore del vento le sovrasta.
Nino mi urla qualcosa, ce l’ho a un metro ma non lo sento.
Intuisco che ha voglia di bere e lo seguo verso il bar.
Ci avviciniamo al bancone attraversando i profumi di creme abbronzanti sparse sulla pelle delle tante ragazze presenti. Alcune ci sorridono. Ci capita spesso.
Gli occhi azzurri di Nino piacciono quanto gli occhi scuri miei. Io scuro, lui chiaro. Io pacato, lui brillante. Ce n’è per tutti i gusti.
Ordiniamo due cervezas e ci appoggiamo alla ringhiera. La birra ghiacciata scende giù come acqua, disseta e rilassa. Osserviamo le evoluzioni dei surfisti, poche in realtà quelle degne di nota. In molti cadono dopo un paio di metri. Uno di loro è fermo da un pezzo sulla battigia, con la tavola sotto il braccio.
Nino lo guarda grattandosi il mento.
«Oh, ma quando cazzo entra in acqua quello?» dice.
«Sta aspettando» rispondo.
«E cosa aspetta?»
«La buona onda.»
Annuisce e sorride. Ci facciamo portare altri due bicchieri pieni di birra.
«E tu, fino a quando aspetterai?»
«Cosa vorresti dire?»
«Andiamo, Fratello. Non vorrai fare questa vita per sempre!»
Alzo le spalle, cercando di formulare una risposta che convinca anche me. «Io non aspetto nulla. In passato ho aspettato tanto, ora non mi va di perdere tempo ad aspettare qualcosa o qualcuno, capisci?»
L’argomento verte sul filosofico e Nino in questi momenti dà il meglio di sé. Fissa il pavimento di legno, con una smorfia simile a un sorriso stampato in faccia e alza il sopracciglio sinistro. Sta per formulare una delle sue teorie, per cui non lo disturbo e aspetto.
«Fratello, ti dico come la penso io…»
Eccola.
«Secondo me tu sei un viaggiatore, uno che prende la vita come un viaggio. Io ti auguro di perderti, di non trovarne uno di cammino ma di essere confuso tra molti, perché un uomo si placa quando sceglie e noi sceglieremo prima o poi, ma non adesso.»
Butto giù un sorso di birra e apro le labbra per dirgli che questa è la frase più bella e giusta che poteva dire, ma non faccio in tempo a pronunciare nemmeno una parola.
Un brivido mi sale lungo la schiena. C’è una farfalla bellissima nel bar, la vedo volare tra i tavoli. Ondeggia piano, sbattendo con delicatezza le ali bianche dal bordo celeste. La stessa immagine di sempre. Vedo una farfalla prima di uccidere qualcuno. Sempre.
In passato ho pensato fossero allucinazioni, disegni creati dal lato puro del mio cervello, che cerca di riportarmi sulla strada buona. Ma stavolta la vede anche Nino.
«Toh, una farfalla! Con questo vento!»
«E cosa c’è di strano?» rispondo fissandola, incantato dalla sua bellezza. «Il vento porta farfalle o neve. Nient’altro.»
*Francesco Aloe è nato a Catanzaro il 7 settembre 1982. È laureato in Lingue e letterature straniere presso l’Università di Bologna, dove attualmente svolge un Dottorato di ricerca in Letterature comparate.