“Lo sport può cambiare il mondo”. Intervista a Mauro Berruto
Una delle sue frasi preferite è di Walt Disney, “Se puoi sognarlo, puoi farlo”. Mauro Berruto, Commissario Tecnico della Nazionale Italiana maschile di pallavolo, con i suoi ragazzi non smette mai d’inseguire la stella cometa, quel podio che prima di tutto significa dedizione totale per raggiungere i migliori risultati. Il prossimo appuntamento sarà a settembre, con gli Europei di Volley in Austria e Repubblica Ceca. Tra meno di un anno, le Olimpiadi di Londra 2012, la prova più dura.
Lo intervistiamo mentre è in ritiro a Monza e scopriamo che, insieme al suo profilo di instancabile formatore, che ha girato le squadre di mezzo mondo, coltiva un animo da filosofo e scrittore. Profondità e apertura mentale sono la sua marcia in più – non solo sul piano sportivo.
D) Lei ha vissuto ad Atene, Belgrado, Brasilia, Buenos Aires, Caracas e Chicago, Helsinki e Il Cairo. Qual è il paese in cui si vive meglio e perché?
R) Se penso in termini di qualità della vita dico la Finlandia, terra meravigliosa, di grande senso civico e rispetto dell’ambiente. Il suo cielo (e le nuvole) mi mancano da morire. Se dovessi dire il luogo in cui vorrei abitare, se mai fossi costretto a lasciare l’Italia, direi la Grecia. Non c’è un motivo particolarmente razionale, me lo sono chiesto più volte. La Grecia è stupenda, ma ha tanti difetti…eppure sarebbe lì che andrei a stare a occhi chiusi. Però credo che la bellezza del viaggiare consista proprio nel trovare piccole parti di mondo incantevoli ovunque. Ricordo almeno un paesaggio meraviglioso di ogni posto in cui sono stato e ho lavorato da allenatore. Dal Madagascar al Canada, dal Giappone all’Argentina. Forse il segreto sta nel modo in cui si guardano le cose. Adoro viaggiare, sono patologicamente curioso.
D) Mare, montagna, campagna, città, collina. Qual è il suo habitat naturale?
R) In montagna d’estate e al mare d’inverno. Se devo scegliere un posto solo, senza alcun dubbio la montagna.
D) E’ attento ai temi ambientali?
R) Cerco di essere un buon cittadino. Cosa che include i doveri che ognuno di noi ha nei confronti dell’ambiente. Questo mondo non ci appartiene, ci è stato tramandato e dobbiamo tramandarlo a nostra volta alle future generazione. E’ un dovere morale assoluto.
D) In quale città vive abitualmente?
R) Bella domanda…. Vivo un po’ da zingaro da una quindicina d’anni. La mia città, quella in cui sono nato e che amo più di tutto, quella in cui risiede la mia famiglia e ovviamente anch’io (pur senza abitarci molto) è Torino. Stupenda. Veniteci e vedrete.
D) Che ne pensa delle politiche ambientali del capoluogo piemontese? Dal verde alla viabilità, dalla raccolta differenziata ai trasporti, cosa cambiarebbe?
R) Non vorrei mai prendere la macchina, anche se il traffico è nullo in confronto ad altri grandi centri. Torino è stata amministrata molto bene negli ultimi anni. Ha saputo trasformarsi, cambiare in meglio. Tutto ciò anche grazie a un meraviglioso evento sportivo: i Giochi Olimpici Invernali del 2006. In quei giorni era magica e quell’atmosfera è diventata un’eredità che ancora si fa piacevolmente sentire. Insomma: lo sport può cambiare il mondo – in meglio!
D) La sua è una vita in trasferta. Questo significa anche mutare continuamente cibi e cucina. Cosa mangiano gli azzurri della pallavolo? Menù italiano anche all’estero o ci si adatta ai differenti paesi?
R) Si mangia ciò che si trova in ogni posto in cui andiamo, “km.0“, ci mancherebbe altro.
D) In cosa consiste l’allenamento di un atleta della nazionale?
R) Per riassumere in pochissime parole, doppio allenamento tutti i giorni, 3 sedute mattutine dedicate alla sala pesi e tutto il resto alla tecnica e alla tattica. Quando si è in nazionale e si vive in ritiro l’impegno non finisce certo con le 6-7 ore quotidiane in palestra. Diciamo che l’esperienza è totalizzante.
D) Lei si definisce, più che un allenatore, un formatore. In che modo i suoi studi filosofici condizionano la sua quotidianità di sportivo?
R) No, non sono io che mi definisco così. Però di sicuro credo che un buon allenatore debba essere anche un educatore. Io cerco di fare quello che posso e penso che gli studi filosofici mi aiutino nello spingere i miei atleti fuori dalle loro “zone di comfort”. Chiedo loro di essere curiosi, aperti alle novità, rispettosi delle differenze. Anzi, di vedere ricchezza nelle differenze.
D) Siete molto presi dal susseguirsi d’impegni e calendari delle gare. Quanto arriva nel mondo dello sport dei temi ambientali?
R) Onestamente non molto. Però poche settimane fa abbiamo avuto la fortuna di vivere un’esperienza unica. Eravamo in Corea del Sud per la World League a Incheon. E per puro caso abbiamo saputo che era ancorata lì la Rainbow Warriors, la nave di Greenpeace. Dopo la partita avevamo qualche ora libera, ho chiesto l’autorizzazione di farci salire a bordo. La nostra nazionale è salita al gran completo e ha ascoltato i racconti di una attivista spagnola membra dell’equipaggio, che ci ha fatto da guida. Un contatto breve, ma molto educativo, appunto.
D) Nel suo secondo libro, “Indipendiente Sporting”, racconta la storia di un “allenatore di calcio rivoluzionario, visionario, probabilmente un po’ pazzo” che vuole cambiare il mondo. Spesso lo sport ha modificato le relazioni internazionali tra i paesi. Può essere il canale di accordi per una migliore cooperazione sui temi ambientali?
R) Sì, lo accennavo prima, parlando dei Giochi Olimpici della mia città. Lo sport può far mutare il mondo in meglio. Parla (come l’arte o la musica) un linguaggio universale, quello delle emozioni. Il mio sogno è essere testimonial dello sport, quando questo sarà riconosciuto come fatto culturale. Mi auguro di tutto cuore che possa essere di aiuto per la sensibilizzazione sui temi ambientali. Noi pallavolisti, nel nostro piccolo, abbiamo iniziato – da Greenpeace appunto.
Letizia Tortello