Italia a tutto gas
Già pochi giorni dopo l’incidente agli impianti nucleari di Fukushima, in molti, tra gli addetti ai lavori, si erano immaginati quali sarebbero state le ripercussioni sulla produzione di energia da fonte elettronucleare e cosa sarebbe successo alle altre fonti energetiche, in particolar modo nei Paesi dove il consenso va, faticosamente, conquistato.
Le prime risposte non hanno tardato ad arrivare: indubbiamente significative le rinunce alla produzione da fonte elettronucleare di Germania e Svizzera. I discorsi e gli scenari sui destini delle altre fonti, invece, sembrano destinati a protrarsi per lungo tempo. Sono tuttavia in molti a pensare che, tra i protagonisti del dopo Fukushima, un attore emergente c’è già: il gas naturale. Tanto che, neanche un mese dopo il disastro giapponese, esperti di settore parlavano di “sindrome giapponese” e Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, in un’audizione presso la Camere dei Deputati, ravvisava condizioni favorevoli per un nuovo slancio al mercato del gas, con un sostegno dei prezzi (crollati per la crisi economica) nel breve termine e con un rafforzamento del ruolo globale nel medio-lungo.
E ancor più di recente l’AIE, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, ha addirittura parlato di “età dell’oro”, in un report che, per altro, non aveva nemmeno fatto in tempo a tener conto dell’abbandono dell’atomo in Germania, dove nel mix per generare elettricità, il nucleare pesa il 22%, a fronte di un 50% del carbone, un 17% di rinnovabili e solo un 8% di gas naturale. Quest’ultimo dato potrebbe forse bastare, da solo, per giustificare previsioni decisamente al rialzo per la domanda, almeno europea.
E i prezzi? Evidentemente, molto dipenderà dall’offerta e dal grado di integrazione dei tre macro-mercati mondiali – USA, Europa e Asia – negli ultimi anni sempre più vicini (e liquidi) grazie alle navi che trasportano GNL, il gas liquefatto che richiede il trattamento nei contestati rigassificatori. Grazie a questo modello di trasporto, per esempio, il resto del mondo ha beneficiato dell’improvvisa disponibilità di gas non convenzionale negli Stati Uniti, che ha liberato grandi quantità di GNL sui mercati spot, mettendo in crisi il tradizionale modello di approvvigionamento via tubo.
Ma cosa succederà da noi, in Italia, dove nel 2008, quando i consumi di energia elettrica hanno raggiunto il massimo storico, il gas è già arrivato a contribuire per il 54% alla produzione elettrica? Innanzitutto, come ha sottolineato un esperto del calibro di Alberto Clô subito dopo l’esito referendario, va chiarito che – a differenza degli altri Paesi - nel nostro paese non c’è nessun buco da colmare. La nostra offerta elettrica (con le rinnovabili che crescono) è decisamente adeguata per far fronte ad una domanda che non ha particolari ragioni per crescere.
L’intero sistema italiano del gas (gasdotti, terminali di rigassificazione, produzione nazionale e stoccaggi), negli ultimi anni ha inoltre già attraversato situazioni critiche, e una vera e propria emergenza, nell’inverno 2005-2006. Tanto che lo si potrebbe paragonare a un atleta ormai ben allenato ad affrontare situazioni difficili o stress test, come di recente è stata l’interruzione delle forniture dalla Libia, con la chiusura del gasdotto Greenstream. Continuando con la metafora, gli stoccaggi rappresentano di certo i polmoni del sistema. Nell’attuale configurazione, questi svolgono un ruolo essenziale nel soddisfacimento delle esigenze di modulazione dei consumi, in quanto assicurano alle società di vendita del gas la flessibilità necessaria all’esecuzione dei contratti di somministrazione. E tanto più grande è la capacità di stoccaggio, maggiore sarà la capacità di contribuire a garantire le forniture e, quindi, la sicurezza energetica del Paese.
Ma una buona capacità di stoccaggio è anche condizione necessaria per la creazione di un mercato liquido – sia nel settore del gas sia in quello elettrico – aumentando la possibilità di arbitraggio anche tra mercati di diversi Paesi. Quest’ultima condizione è per l’Italia, che da tempo viaggia a tutto gas, un traguardo da non mancare, insieme alla mai spenta speranza che il nostro Paese diventi un hub del gas, con la conseguenza che una quota importante dei flussi di metano transitino lungo la penisola (e forse anche attraverso la Sardegna) per poi essere consumati da altri paesi dell’Unione garantendo al contempo un’offerta italiana che ci metta al riparo da aumenti di prezzo.
La possibilità che l’Italia diventi il crocevia del gas europeo dipende dalla rapidità con cui saremo in grado di costruire i corridoi di approvvigionamento: i primi progetti realizzati saranno naturali barriere all’entrata in operatività di altre infrastrutture. Creare corridoi significa costruire gasdotti e terminali di rigassificazione; per farli però è necessario anche (e in misura non certo minoritaria) costruire il consenso presso i territori che dovranno ospitare queste infrastrutture. La missione, invero, non è per nulla facile, specie con i governanti e gli amministratori attuali, che non godono certo di molta fiducia presso i cittadini.
Consentitemi infine una postilla sull’utilizzo del gas naturale per autotrazione: i numeri sui consumi sono ancora molto contenuti e le vendite di autoveicoli alimentabili a metano nel 2010 ed anche quest’anno, dopo gli spettacolari risultati del 2009, senza incentivi sono crollate. Tuttavia il numero di stazioni di rifornimento continua a crescere (siamo ad oltre 810), diverse regioni continuano ad erogare aiuti, le flotte aziendale e pubbliche, anche quest’anno, lasciano ben sperare. Certo è una strada lunga e con tante curve ma il fatto che il gas possa competere ad armi pari con diesel e benzina, e quindi con il fratello maggiore petrolio, sarebbe una prima dimostrazione che l’epopea dell’oro nero non è poi così lontana dal tramonto.
Antonio Sileo