La crescita sostenibile in Africa è donna
Riconoscere e valorizzare il ruolo delle donne in Africa e dare loro il Premio Nobel per la Pace 2011 (Noppaw – Nobel Peace Prize for African Women). Questa la proposta promossa dal CIPSI, coordinamento di 48 associazioni di solidarietà internazionale, e da ChiAma l’Africa, nata in Senegal, a Dakar, durante il seminario internazionale per un Nuovo patto di solidarietà tra Europa e Africa svoltosi nel 2008. Dunque, è questa anche la ragion d’essere del lancio di una campagna internazionale ad hoc per l’attribuzione del premio Nobel per la Pace 2011 alle donne africane nel loro insieme. Non una campagna per una singola persona o a un’associazione, ma una sorta di “Nobel collettivo”. Si tratta di una proposta atipica, ma, secondo i promotori, è l’unico modo per far conoscere il protagonismo delle donne africane e privilegiare le loro organizzazioni nell’ambito dei rapporti di cooperazione.
Una delle tappe della campagna, denominata Walking Africa, si è svolta a Bruxelles, nel contesto istituzionale del Parlamento Europeo, lo scorso 23 maggio. Il tema dell’incontro è stato appunto il protagonismo della donna nella società africana. Un protagonismo piuttosto nascosto, silenzioso e non palesato, ma che, per certi versi, è il motore dei settori trainanti dell’economia africana. Basti pensare che le donne africane da decenni sono le protagoniste nella microfinanza: dalle storiche tontine dell’Africa occidentale, fino alle forme più elaborate di microcredito in tutte le parti dell’Africa. Microcredito che ha permesso la nascita di migliaia di piccole imprese, nonché una gran quantità di cooperative che mettono insieme donne impegnate nell’agricoltura, nel commercio, nella formazione e nella lavorazione di prodotti agricoli. Le donne africane stanno inoltre svolgendo un ruolo sempre crescente nella definizione e nella ricerca di forme autoctone di sviluppo economico e sociale, attraverso l’organizzazione capillare delle attività economiche e sociali nei villaggi.
In questo contesto si inserisce anche il ruolo della donna africana nella promozione e nella diffusione della green economy come motore per la crescita economica, soprattutto delle aree rurali. Del resto è solitamente forte l’importanza che la donna attribuisce alle questioni ambientali, essenzialmente per il bisogno primordiale di conservare un ambiente sano per i propri figli. I cambiamenti climatici, l’inquinamento ambientale, sono fattori che hanno avuto effetti negativi a livello globale. Di fronte ai danni arrecati ai raccolti, per l’arrivo, ad esempio, della stagione delle piogge prima del previsto oppure per la siccità che non dà il tempo di terminare il raccolto, le donne africane hanno risposto con la diffusione di un’agricoltura basata su scelte etiche e biologiche. Sempre più diffuse, infatti, sono le piccole e medie aziende agricole gestite da donne in cui si producono prodotti biologici, che non prevedono l’utilizzo dei pesticidi, ma che concimano i terreni con gli escrementi del reparto zootecnico dell’azienda stessa, e che distribuiscono il prodotto finito direttamente sul mercato locale. Nonostante la maggior parte delle terre non siano di proprietà diretta della donna, sono costoro che si sono, da sempre, occupate della coltivazione dei campi. Per questo motivo sono le più adatte ad assorbire i cambiamenti positivi e a sperimentare nuove realtà, come appunto quella dell’agricoltura biologica. Un caso esemplare è la produzione del cotone biologico: le donne non possiedono, nemmeno in questo caso, terreno proprio, ma gli uomini accettano che coltivino il “cotone nobile” sulle loro terre a maggese.
La green economy al femminile in Africa non riguarda però solo il settore agricolo. Soprattutto gli ultimi anni hanno visto affacciarsi sulla scena dell’economia africana (anche grazie all’aiuto delle Ong e all’impegno della comunità internazionale) un numero crescente di produttrici, imprenditrici, sindacaliste, rappresentanti delle istituzioni sociali, che oltre a difendere e diffondere i diritti di genere, si preoccupano anche di promuovere uno sviluppo economico compatibile con l’ambiente e la natura. Non è raro oggi imbattersi in progetti imprenditoriali di un certo rilievo anche internazionale, che siano gestiti da donne e che rientrano nel novero dell’economia eco e sostenibile. Un esempio è il business di Françoise Foning, presidente mondiale Fcem, sindaco di Douala, Camerun, e prima donna d’affari nel suo paese che ha iniziato con una compagnia di taxi, e che oggi opera nel campo dell’energia fotovoltaica. Un altro esempio di buone pratiche aziendali è quello di Sara Katebalirwe amministratrice della Royal Bark Cloth Designs Limited di Kampala, Uganda, che disegna e produce prodotti di abbigliamento, accessori e utensili per la casa, utilizzando, nonostante la sua vocazione internazionale, manodopera locale e materie prime completamente naturali e indigene.
Sono solo alcuni esempi della miriade di piccole e medie aziende a vocazione green che, seppur con enormi difficoltà, stanno prendendo piede nel continente, grazie alle infaticabili donne africane.
Donatella Scatamacchia