Requiem (con speranza) per la Terra. Intervista a Inés Fontenla
Tutte le opere di Inés Fontenla nascono da un’inquietudine. Da una sensazione che abita i pensieri e che poi prende forma con l’arte. Questo è avvenuto anche nel caso del suo ultimo lavoro, Requiem Terrae, il suo secondo progetto interamente dedicato all’ambiente.
Inés è un’artista argentina, ma vive a Roma da 25 anni. L’ambiente è un tema che le sta particolarmente a cuore, un’inquietudine che non l’abbandona mai. Ha esposto in tutto il mondo, dalla Germania all’Indonesia. L’installazione Requeim Terrae sarà inaugurata giovedì 28 aprile nella chiesa sconsacrata di San Filippino, a Roma, e rimarrà aperta fino al 20 maggio 2011.
D) Quando ha iniziato a lavorare su temi ambientali?
R) Ho realizzato diversi progetti sull’immigrazione e i cambiamenti dei territori, ma il primo lavoro interamente dedicato all’ambiente è del 2005: “Il cielo alla fine del mondo”, sul buco nell’ozono. Mi interessava mettere in evidenza il fatto che il buco si fosse aperto su un territorio incontaminato come la Terra del Fuoco, dove per una serie di fenomeni naturali è arrivato l’inquinamento da tutto il mondo industrializzato. È il famoso effetto farfalla. L’installazione era composta da un tappetino verde, che riproduceva la mappa della regione, su cui erano posate le casette colorate tipiche di quella zona. Sopra questo paesaggio bucolico pendevano dei coltelli, simbolo della minaccia che incombeva dal cielo. C’era anche un video con varie interviste che ho raccolto durante un mio viaggio nella Tierra del Fuego.
D) Qual è invece il tema al centro di Requiem terrae?
R) Lo sfruttamento della terra da parte dell’uomo. Il pavimento della chiesa sarà coperto da uno strato di 3-4 centimetri di terra nera, profumata, fertile. Sopra, una grande lastra di vetro, con impresso un planisfero, frantumata in mille pezzi. Quello che voglio far emergere è il contrasto tra la terra viva, generatrice e quella rotta, manipolata dall’uomo. Ci sarà poi anche un video, in cui, con un’animazione, racconto i principali fenomeni geopolitici dell’ultimo secolo, dalle guerre mondiali alla guerra fredda, fino ai conflitti del Medio Oriente. Tutti eventi che hanno influito pesantemente anche sulla natura.
D) Come è nata l’idea del progetto?
R) Riflettevo da molto tempo su questo conflitto, poi la mia inquietudine ha iniziato a prendere forma. Dopo aver assistito a una conferenza di Leonardo Boff, un teologo impegnato anche sul fronte dell’ambiente, ho deciso di inserire nell’installazione anche la Carta della Terra dell’Unesco, un documento bellissimo che si conclude con l’auspicio che il nostro tempo possa essere ricordato per una nuova attenzione al pianeta.
D) Però il titolo dell’installazione, Requiem Terrae, è un’espressione che richiama la morte. Veramente la terra è un essere defunto per il quale non c’è più niente da fare?
R) No, non credo. “Requiem” rimanda allo sfruttamento indiscriminato del pianeta da parte dell’uomo, ma la terra ha ancora una grande energia vitale, non credo che tutto sia perduto.
D) Che cosa vuole trasmettere con le sue opere a chi guarda?
R) Vorrei che passasse l’idea che la terra è un bene comune, da salvaguardare e proteggere per le persone che verranno dopo di noi. Ognuno deve prendere coscienza della propria responsabilità ambientale, c’è bisogno di un comportamento etico nei confronti della terra. Quello che voglio trasmettere è un’inquietudine, un invito a riflettere. L’arte contemporanea non è una narrazione, non ti dà l’immagine già cotta e digerita. L’immagine deve mangiarla e rielaborarla chi guarda, è un processo lento, ma anche più attivo.
D) Lei vive a Roma da 25 anni. Le sembra che in questo periodo di tempo la sensibilità ambientale sia cresciuta?
R) Un pochino sì, ma c’è ancora molto da fare. In Francia e in Germania c’è maggiore attenzione, anche perché certe politiche ambientali sono state attuate prima. C’è bisogno di educazione e informazione, ma vedo che nei giovani ci sono una grande coscienza ambientale e impegno per il futuro.
D) E nell’arte come vanno le cose? I frequentatori delle mostre hanno voglia di confrontarsi con questo tema?
R) Sì, nell’arte c’è sensibilità. Ci sono molti artisti che trattano temi individuali, ma molti altri, come me, che preferiscono trattare argomenti che riguardano la collettività, come l’ambiente, appunto.
D) Come si traduce la sua sensibilità ambientale nella vita quotidiana?
R) Faccio la raccolta differenziata, limito più che posso l’utilizzo della macchina, faccio la doccia un giorno sì e un giorno no per non sprecare troppa acqua. Quando sono arrivata a Roma c’erano persone che d’estate, per rinfrescare l’ambiente, tenevano aperto il rubinetto dell’acqua: una cosa che mi è sempre sembrata assurda!
D) Lei è originaria dell’Argentina. In America Latina c’è secondo lei un approccio diverso all’ambiente?
R) Io vengo da Buenos Aires, una grande città, ma da giovane ho sempre avuto l’occasione di passare un po’ di tempo in campagna. In Sudamerica abbiamo un rapporto più stretto, più fisico con la natura. C’è l’idea di vivere accompagnando i cicli naturali, mentre in Occidente l’ambiente è visto come qualcosa da sfruttare, un oggetto distaccato da sé.
Veronica Ulivieri