Trovare nuovi modelli di sostenibilità nella natura. Intervista a Alessandro Bertante
Nina dei lupi, è una fiaba già dal titolo. Nina ti strega e fa tremare. Nina è mito che riconduce alle origini, epica vera nel senso di narrazione, narrazione gloriosa e vicissitudini di un’eroina ragazzina. “In tutte le vallate sopra al grande lago si raccontava la storia della bambina che divenne donna, crescendo sola tra le bestie selvagge”.
“Nina dei lupi” (edito da Marsilio) è la terza prova narrativa di Alessandro Bertante, favola gotica, romanzo apocalittico, parabola post-industriale, hanno detto in molti. Ma “il primo caso di candidatura dal basso al Premio Strega” (dopo un plebiscito di “I like” sulla fanpage nata spontaneamente su Facebook) è soprattutto un romanzo che si distacca dalle parole urbane delle nuova letteratura perché è magico, colmo di spiritualità. Si parla di leggi rurali, di segni tristi, di macchie purpuree del cielo, di nubi sulle montagne e di ombre oscure. Se fosse un quadro sarebbe sicuramente uno Chagall.
D) Bertante, nell’ultimo libro lei è alla ricerca degli archetipi che ci hanno fatto occidentali. Cosa ha scoperto?
R) Non mi interessa trovare una soluzione, una risposta, mi piace indagare le cause, capire gli ingranaggi. Le soluzioni sono la parte secondaria del mio approccio con il mondo. E’ comunque un problema di decadenza che riguarda tutta l’umanità, non solo il mio libro. La società italiana vive uno stato di disgregazione del tessuto etico e civile tale che non è tanto assurdo immaginare una deriva simile. Non c’è solidarietà. Non stento a credere che se vivessimo una crisi di stampo argentino ci troveremmo davvero a scannarci in piazza.
D) La sciagura è la vera protagonista di “Nina dei lupi”, è il motore del racconto. Ma se dovessimo parlare di realismo?
R) Siamo nel campo del presagio e mi interessa rimanere lì. Non mi interessa il quotidiano. Questo, il nostro, è un mondo che deve riprendersi il mito. Il mitologico non interpreta la realtà ma la rende riconoscibile alla comunità che condivide il racconto. In tal modo il corpo mitologico non solo diventa patrimonio comune del gruppo, cui richiama immediatamente il complesso dei codici sociali cui fa riferimento, ma arriva spesso a comprendere la rappresentazione degli elementi fondamentali della cultura cui appartiene.
D) Lei dunque mostra le crepe del modernismo, ma non racconta la catastrofe, se non da un punto di vista simbolico. Che anni sono questi?
R) Anni disperati, vuoti. Se gli anni Ottanta erano gli anni dell’espansione, questi sono gli anni dell’arretramento, dei passi indietro.. Dall’89 al 94 la mia generazione ha vissuto un’ occasione sprecata. Quello che siamo adesso in fondo è stato generato da quello che eravamo negli Anni 80.
D) Il suo è un passato underground, ma questo libro vive e si sviluppa nella natura. Cosa è per lei la natura?
R) E’ il posto dove vivo, vicino al parco del Ticino, le vacanze, la vita. La natura è dove il tempo è dilatato. La natura è ritualità, ritmo anarchico.
D) Ci siamo appena lasciati alle spalle i picchi di aria malata dell’inverno, ci sono soluzioni?
R) E’ una delle tante spie che ci segnalano l’insostenibilità del nostro modello di sviluppo. Bisogna trovare un nuovo modello di sostenibilità che rispetti l’ambiente, che non sfrutti le risorse e che limiti la produttività. Consumiamo terra, divoriamo spazi senza rendercene conto.
Francesca Fradelloni