Incubo nucleare: le reazioni in Italia
“Incubo nucleare”. Da giorni, dopo il terremoto e lo tsunami in Giappone, non si fa che ripeterlo. E ogni giorno, forse sempre un po’ più a ragione. Perché continuamente dalle agenzie di stampa arrivano notizie sempre più gravi sulle condizioni dei reattori danneggiati dal sisma.
Il rischio, se non si riuscirà a raffreddare il nocciolo, è la fusione e la conseguente fuoriuscita di materiale altamente radioattivo dal recipiente che contiene il combustibile. Le informazioni sono incerte e diffuse con il contagocce. Il mondo scientifico, come sempre accade in caso di incidenti come questo, è diviso. Da una parte, coloro che cercano di minimizzare, dall’altra quelli che invece vedono il nucleare come una bomba ad orologeria e sottolineano l’opportunità di una riflessione collettiva sull’atomo.
In un momento in cui le informazioni si rincorrono veloci e disordinate, per gli scienziati non è facile fare una ricostruzione dei fatti. «Quando succedono fatti simili, l’informazione viene secretata. E nessuno saprà mai la verità. Le autorità faranno un’inchiesta sull’accaduto e diranno quello che riterranno opportuno, come è avvenuto per l’incidente alla centrale di Three Miles Island negli Usa nel 1979», spiega Luigi Sertorio, fisico torinese e autore, insieme a Giulietto Chiesa e Guido Cosenza, del libro “La menzogna nucleare”.
Più ottimista è Matteo Passoni, ingegnere nucleare e ricercatore al Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano: «L’incidente è avvenuto da pochi giorni e ci sono dei tempi tecnici per valutare la gravità dell’accaduto e mettere in atto una soluzione», spiega lo scienziato, membro del Gruppo Scientifico Galileo 2001, a favore dell’energia nucleare. Ma, in base alle informazioni disponibili, c’è la possibilità di una fusione del nocciolo? Per Passoni, «potrebbe esserci il rischio di una fuoriuscita di materiale radioattivo dal vessel, ma sulla base delle informazioni ufficiali della IAEA disponibili al momento, i vessel di tutti i reattori coinvolti nell’incidente hanno mantenuto la loro integrità». Per Sertorio, la possibilità è invece reale: «Stabilire ora dove finirà il materiale radioattivo è impossibile, dipenderà dai venti. Sono a rischio i Paesi vicini al Giappone, mentre non c’è nessun pericolo per l’Italia».
Diversa anche la valutazione dei due esperti sulla sicurezza delle centrali nucleari. Per il fisico torinese, «le centrali nucleari non sono mai del tutto sicure, perché possono verificarsi incidenti molto gravi per cause naturali o per un errore umano. Non è stato saggio costruire centrali in un’area sismica come quella giapponese, anche se probabilmente sono state realizzate con la massima attenzione». Per Passoni, invece, il fatto che le centrali non siano state distrutte «è la prova che possono resistere anche a eventi catastrofici come uno tsunami».
A pochi mesi dal referendum italiano, l’incidente ha riacceso inevitabilmente il dibattito sul nucleare in Italia. Mentre in molti Paesi del mondo ci si interroga sulla sicurezza dell’energia atomica, ieri il governo italiano ha apportato alcune modifiche al decreto legislativo sulla localizzazioni delle centrali nel nostro Paese e ha chiesto al Parlamento la procedura “d’urgenza” per l’esame del provvedimento da parte delle commissioni competenti.
Ma anche da noi la classe politica non è tutta allineata sul sostegno al nucleare. Agostino Ghiglia, capogruppo Pdl in Commissione Ambiente alla Camera, difende la linea del governo, dichiarando che «non è sull’onda dell’ emotività che l’Italia e il governo possono indirizzare le proprie scelte di politica energetica. L’Italia deve ancora iniziare il percorso di ritorno al nucleare impiegando la tecnologia più avanzata e centrali nucleari di ultima generazione». Su una posizione diversa è il collega Pdl ed ex An Fabio Rampelli, che invoca investimenti italiani nel “nucleare pulito“, la tecnologia studiata da Carlo Rubbia che prevede di utilizzare il torio al posto dell’uranio. «Per quale motivo Paesi che hanno decine di centrali nucleari attive annunciano moratorie, congelano programmi di realizzazione di nuove centrali già approvati, spengono i reattori giudicati più a rischio e l’Italia, che non ha nulla da perdere, si ostina a esibire una posizione isolata nel mondo occidentale, imprudente quanto ingiustificata?», si chiede Rampelli.
«In Italia si parla perché non ci sono centrali funzionanti. Se ci fossero state, il governo sarebbe stato costretto a fare una riflessione. Il problema del nucleare andrebbe affrontato in modo pragmatico e non ideologico, tenendo conto che si tratta di una tecnologia pericolosa», sottolinea l’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, oggi presidente della Fondazione Univerde. Per il radicale Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni, in Italia servirebbe «un Piano energetico nazionale, in grado di esprimere una vera e propria politica energetica, che da noi è sempre mancata». L’Italia, continua Cappato, dovrebbe «convertire le risorse che erano state previste per il nucleare per realizzare invece un grande piano di messa in sicurezza antisismica degli edifici e di sostegno alla ricerca sulle energie rinnovabili».
Il dibattito dunque continua, infiammato (letteralmente) dall’evolversi della situazione giapponese, che secondo il commissario europeo Oettinger ha cambiato il nostro modo di guardare il mondo e la tecnologia. E in Italia, sembra destinato a surriscaldarsi nei mesi a venire, secondo la migliore tradizione politica del derby di ispirazione calcistica, più forte anche dei festeggiamenti nazionali.
Veronica Ulivieri