La città inquina meno della campagna?
La città è più ecologica della campagna? E’ questo l’interrogativo da cui parte il saggio “Green Metropolis” (Egea, pag. 250, 24 euro) del giornalista americano David Owen, pubblicato qui in Italia da “Egea”, la casa editrice dell’Università Bocconi.
Potrebbe apparire una provocazione per catturare l’attenzione del pubblico, invece l’autore, in quasi 250 pagine, la legittima come tesi portando sul banco della discussione numerosi dati, esempi e testimonianze.
Owen ci illustra che New York, e soprattutto Manhattan, che agli occhi dei più possono apparire “infernali” per caos, ritmi e stili di vita, si piazzano meglio nelle classifiche di “ecosostenibilità” rispetto a tantissime comunità rurali. Per Owen, la risposta all’apparente contraddizione sta tutta in una spiegazione logica: “individualmente, i newyorchesi guidano, inquinano, consumano e producono rifiuti in misura nettamente minore rispetto a quelli di altre città e paesi, perché lo spazio ristretto e congestionato in cui vivono crea efficienze e riduce le possibilità di consumi insensati”.
Ricorrendo spesso all’esempio di Manhattan, il giornalista del New Yorker, mette in evidenza che gli abitanti delle grandi metropoli vanno in ufficio con un mezzo pubblico, in bicicletta o piedi e che, nonostante il traffico intenso, questi intricati agglomerati urbani possono registrare un basso rapporto automobile/residenti.
I dati, le statistiche, le cifre che gli ambientalisti danno in pasto ai media, per Owen, sono spesso fuorvianti se analizzati isolatamente, senza contestualizzarli. New York è, infatti, accusata di generare quasi l’1% dei gas serra prodotti negli Stati Uniti, ma quasi mai si ricorda che questa città ospita il 2,7% della popolazione del Paese, e quindi, in rapporto, le emissioni risultano, all’opposto, straordinariamente basse. Se poi si prendono in esame altri parametri, si può vedere come nel “bucolico Vermont”, gli abitanti consumano più acqua dei newyorkesi, più del triplo della benzina, più del quadruplo dell’elettricità.
L’autore ribadisce, quindi, che il segreto della “risparmiosità” dei newyorkesi e degli abitanti di altri grandi metropoli non solo statunitensi stia nella densità abitativa e nella prossimità delle abitazioni tra loro e con i luoghi di lavoro e di svago, perché lo spazio ristretto e congestionato in cui vivono crea efficienze e riduce le possibilità di consumi insensati, come l’utilizzo indiscriminato dell’auto. All’opposto, in campagna, le distanze sono dilatate e gli abitanti per qualsiasi necessità, o anche solo per recarsi al lavoro, fanno largo uso dell’automobile, molto più che in città.
Una tesi ardita quella sviluppata in “Green Metropolis” che non sarà accolta con favore da molti gruppi ambientalisti e che collide con l’ecologismo ortodosso.
Ma Owen non si ferma qui, minimizzando o, addirittura, smontando altri miti dell’ecologismo contemporaneo, come l’uso dell’auto elettrica. Secondo il giornalista americano, infatti, un automobilista che carica le batterie dell’automobile quando torna a casa dal lavoro non è un problema; diventano, invece, un grosso problema un milione di automobilisti che caricano le batterie della vettura proprio nel momento di massima domanda energetica della giornata, tanto da mettere a dura prova la rete elettrica!
Anche i cosiddetti prodotti a “Km 0” sono presi di mira da Owen. Saranno magari più buoni e gustosi, ma non è proprio detto che siano, contemporaneamente, garanzia di ecosostenibilità. Owen fa il seguente esempio: “I lamponi californiani che acquisto al supermercato producono meno emissioni di carbonio dei lamponi locali che ho acquistato recentemente in una fattoria poco lontana da qui. Perché hanno attraversato il Paese insieme a un carico di altre merci, e quindi rappresentano un consumo unitario minimo di carburante, mentre quelli locali sono stati acquistati con un viaggio automobilistico di trenta miglia a bordo di un’automobile i cui unici occupanti eravamo io e mia moglie”.
Il calcolo completo dal “forcone alla forchetta”, sarebbe, infatti, molto complicato perché si tratta di stimare metodi di produzione assai differenti, calcolare le spese energetiche per l’aratura, per la semina, per il raccolto, la quantità e il tipo di pesticidi utilizzati, il trasporto, lo stoccaggio e così via. Anche il ricercatore Dario Bressanini, nel suo “Pane e Bugie” edito da “Chiarelettere”, ci suggeriva come entrino in gioco numerosi fattori e variabili che dovrebbero essere presi tutti in considerazione. Innanzitutto, bisognerebbe anche considerare l’inquinamento prodotto da un consumatore che, ad esempio, utilizza l’automobile per recarsi nel farmer market della sua città, se non nell’azienda agricola fuori città, per acquistare, solitamente, una quantità di beni molto limitata. Al posto di andare nel supermercato sotto casa e fare spesa completa.
Inoltre, elemento ancora più importante, solitamente i piccoli produttori sono di gran lunga più inefficienti rispetto alle grandi aziende in fatto di risparmio energetico. E, paradossalmente, come dimostrato dalla ricerca scientifica, la filiera di numerose categorie di beni risulta meno inquinante se parte da lontano: infatti, alcuni tipi di frutta, verdura o selvaggina che mangiamo possono essere conservati meglio, cioè con minore impatto ambientale, in altre aree continentali per la presenza di un clima nettamente più favorevole.
Quelli ancora più scettici di Owen e Bressanini, addirittura, identificano nel brand “Km 0” una semplice operazione di marketing che rischia di ingannare il consumatore sensibile alle tematiche etiche.
La lettura di “Green Metropolis” è introdotta da un intervento del sociologo urbano Guido Martinotti che si sente vicino alla tesi dell’autore e la sintetizza ammettendo che: purtroppo “oggi chi non abita in città ha esattamente gli stessi consumi di chi ci abita, ma se deve compare le uova prende l’auto e compie magari dieci chilometri invece di scendere al negozio dietro l’angolo. E’ questa la differenza che fa sì che la città sia molto meno dissipativa delle regioni periurbane e rurali”.
Gaetano Farina