Nucleare: a chi conviene?A nessuno
Il nucleare, alla fine, non conviene a nessuno. In primo luogo non porta benefici all’ambiente, né ai cittadini, né, nel lungo periodo, alle lobby industriali che lo sostengono. È questo, in poche righe, il messaggio del libro “Nucleare: a chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi” (Edizioni ambiente, pp. 243, 20 euro) di Gianni Mattioli e Massimo Scalia, due docenti universitari che figurano tra i padri dell’ambientalismo scientifico in Italia. Gli autori smontano, una ad una, le argomentazioni portate dal governo italiano a supporto della rinascita nucleare, dimostrando come un investimento nell’atomo sia di questi tempi assolutamente insensato e in controtendenza rispetto agli obiettivi comunitari, che guardano invece alle vere energie alternative.
La prima vittima della battaglia a favore dell’atomo, soprattutto in Italia, dicono gli autori, è la corretta informazione dell’opinione pubblica che, solo sulla base di conoscenze approfondite e scientificamente provate può veramente fare una scelta. A rendere insensato l’investimento nel nucleare sono anche una serie di altre ragioni, analizzate una per una e supportate da dati provenienti da fonti internazionali. Prima di tutto, c’è il fatto che anche «se un impegno straordinario portasse al raddoppio delle centrali nucleari (…), la riduzione delle emissioni di Co2 non supererebbe il 5%». È chiaro quindi che «non ci possiamo oggi aspettare dalla fissione nucleare la risposta alle scelte urgenti che siamo chiamati a effettuare in tema di energia e sconvolgimento climatico». A questo si aggiunge il fatto, rimarcato dagli scienziati stranieri, che il nucleare utilizza una risorsa rara (l’uranio), introvabile tra 50-80 anni e quindi «destinata a divenire sempre più costosa e oggetto di competizione internazionale, da acquisire comunque sul mercato estero». Bisogna poi considerare «i gravi rischi sanitari, non solo in condizioni incidentali, ma anche nel semplice funzionamento di routine». Studi internazionali (tra cui uno tedesco del 2003) hanno dimostrato che vivere in vicinanza di una centrale nucleare può provocare con maggiore frequenza tumori, soprattutto leucemie infantili. C’è poi il fatto che non è ancora stato risolto «il problema della chiusura in sicurezza del ciclo del combustibile»: la questione delle scorie nucleari, cioè, non ha ancora avuto una soluzione definitiva. Anche il problema dei costi di produzione di un kilowatt non è da sottovalutare. Si tratta di un dato difficile da calcolare, e comunque superiore rispetto ad altre fonti energetiche pulite e rinnovabili.
«Un paese come il nostro, che deve ripartire da zero, si troverebbe a mettere in campo ingentissime risorse, in gran parte pubbliche, per una tecnologia di irrilevante efficacia climatica, che usa una fonte in via di esaurimento a costi crescenti, disponibile, come si è visto, per poche decine di anni e con lasciti per millenni di scorie altamente radioattive», sottolineano gli autori. E proprio quelle «ingentissime risorse pubbliche» potrebbero essere destinate ad altri tipi di energie rinnovabili e pulite, anche se purtroppo in Italia, sottolineano Mattioli e Scalia, manca una strategia energetica e per la lotta al cambiamento climatico. L’auspicio finale del libro è il passaggio dall’era nucleare a quella solare: un’era senza scorie tossiche, radiazioni pericolose, incubi atomici.
Veronica Ulivieri