Accordo lontano su Copenhagen? La parola alle delegazioni impegnate nelle trattative
A Key Energy molta prudenza tra i rappresentanti di Unione Europea, Cina, India e Stati Uniti alla vigilia del summit climatico
Rimini, 31 ottobre 2009 - Mancano poche settimane al cruciale appuntamento di Copenhagen per il futuro del pianeta ed è ancora molto lunga e tortuosa la strada che dovrebbe portare ad un accordo mondiale in materia di riduzione delle emissioni climalteranti. Entro il mese di novembre le delegazioni dei vari Paesi impegnate nella ricerca di soluzioni condivise dovranno trovare una sintesi tra le varie proposte. È quanto emerso stamani all’incontro “Copenhagen e oltre. Le risposte del mondo alla sfida del clima“, organizzato da Kyoto club nell’ambito di Key Energy che si chiude oggi a Rimini Fiera.
“La discussione continua a girare attorno alla questione finanziaria – rileva Carlo Corazza rappresentante a Milano della Commissione Europea – Nei giorni scorsi il Consiglio europeo si è riunito e si è parlato di un sostegno che dovrebbe essere garantito dai Paesi aderenti per circa 30 miliardi di euro. L’Unione europea farà la sua parte con 5-7miliardi di euro. Si tratta comunque di misure non sufficienti se tutti i Paesi coinvolti non faranno la propria parte”
“Copenhagen – rileva Corazza – costituisce un’occasione storica per il mondo intero. Il presidente Barroso quando presentò il pacchetto clima-energia 20/20/20 parlò già nel 2007 di una terza rivoluzione industriale. Occorre dunque molto coraggio da parte di tutti”.
Di coraggio e di soluzioni condivise ha parlato anche Chengyong Sun, consigliere per gli affari scientifici dell’Ambasciata della Repubblica popolare cinese. “La corsa alla sfida climatica deve passare attraverso una reale e sincera cooperazione internazionale. Detto questo ricordiamoci che in Cina vivono 1,3 miliardi di persone e che più di 50 milioni sono ancora sotto il livello di povertà e quindi il processo che porterà il nostro Paese ad essere dal punto di visto industriale e tecnologico alla pari degli altri è ancora molto lungo”.
Posizione analoga anche per Saurabh Kumar, vice ambasciatore indiano in Italia che difende gli interesse dei Paesi in via di sviluppo e respinge parzialmente le misure dei paesi occidentali che puntano ad una mitigazione della crescita e di conseguenza delle emissioni inquinanti. “Il nostro contributo alle emissioni GHG – rileva l’ambasciatore – è solo del 4%, avendo comunque una popolazione che è il 17% del totale mondiale. Ogni indiano inquina per una tonnellata di Co2 all’anno. Quanti Paesi occidentali possono dire la stessa cosa?”.
Più ottimista la posizione degli Stati Uniti. Jean Preston consigliere Usa per gli affari ambientali scientifici e tecnologici ha parlato di svolta epocale anche per Washington grazie all’arrivo di Barack Obama. Preston ha sottolineato l’enorme cambiamento di rotta da parte del suo Paese con l’approvazione, avvenuto a luglio da parte del congresso, dell’”American Clean Energy and Security Act”. “La Green Economy – ha avvertito – è la nostra bandiera per il futuro dell’America e dovrà essere di tutto il mondo. L’accordo per salvare il nostro pianeta va trovato a qualsiasi costo”.