Esempi di biodiversità urbana (e umana). Intervista a Girolamo Marri
Nel weekend di Paratissima, la fiera off di Artissima, abbiamo incontrato Girolamo Marri, giovane artista italiano giunto a Torino da Shanghai – dove vive e lavora da alcuni anni – per una personale-collettiva, come la definiscono i suoi curatori. Al termine di una performance in cui Girolamo, steso su un tappeto orientale, si fa letteralmente (seppur simbolicamente) calpestare dai visitatori della mostra, usciamo con lui a vedere i grandi schermi, ai lati degli ex uffici Fiat di Corso Marconi, dove vengono proiettati, in contemporanea, due suoi video di pseudo-interviste, uno realizzato a Shanghai e uno qui, nel folcloristico e multirazziale quartiere torinese di San Salvario. Mentre parliamo si avvicina un ragazzino appena uscito dal carcere minorile, insieme alla sua baby-gang. Il teppistello nota (con l’insopprimibile ammirazione dei ragazzi della reality-show-generation) che Girolamo è la stessa persona che vede nel video e si avvicina. “Ma quello lì sei tu?”. Poi vedendo che le interviste del video sono “finte” (Girolamo non domanda nulla alla sue prede), pone la domanda filosofica più temuta da tutti gli artisti: “Ma a cosa serve?? Ti pagano per fare quello? Allora lo voglio fare anch’io!”. Fantastico… Ma torniamo alla nostra intervista.
D) Girolamo, i tuoi ultimi video presentati a Paratissima si potrebbero definire degli esempi di “biodiversità urbana”. Da dove nasce quest’attrazione, quasi tassonomica, verso gli esemplari più caratteristici del genere umano?
R) Subisco molto il fascino dello “altro”. Credo che la dialettica hegeliana e le sue evoluzioni siano applicabili o semplicemente riscontrabili in tutti gli ambiti, anche in quello estetico. Quando cammino per strada sono attratto da tutto ciò che non mi è familiare e per questo vivere in Cina e’ per me un’esperienza quotidianamente tonificante. Con lo stesso piacere ho realizzato un lavoro nel quartiere di San Salvario a Torino, per poi esibirlo in quelle stesse strade. Ho semplicemente passeggiato assieme alle persone che mi aiutavano, e chiesto di partecipare a tutti, italiani, stranieri, giovani, anziani, ricchi e poveri, che meglio mostravano certe sfaccettature del complessissimo universo umano. In una società che tende verso l’omologazione è giusto tutelare la biodiversità.
D) Hai mai affrontato, nelle tue opere, temi di carattere ambientale o trovato ispirazione nella natura?
R) Di recente, a Shanghai, ho partecipato ad una mostra collettiva incentrata sul lavoro di artisti cinesi vissuti tra il XIV e il XVI secolo che, isolandosi a lungo nella natura selvaggia, ne traevano una conoscenza che poi riuscivano a restituire alle loro comunità, diventandone guide filosofiche, spirituali, estetiche, e anche politiche. Sapendo che gli altri sei artisti avrebbero realizzato dei lavori molto armoniosi e molto ispirati alla natura nella sua forma più poetica, ho scelto di approcciare il soggetto in maniera del tutto negativa: ho difeso cioè la teoria che una visione così romanticizzata della natura e dell’arte è oggi assolutamente anacronistica. Ma, al di là di questa provocazione, sono anch’io convinto che la profondità della natura, la sua temporalità infinitamente diversa da quella banalmente scandita – in quattro quarti – dalla nostra società, possa aiutare molto a schiarirsi le idee, a scremare il superfluo e a pensare un po’ più in alto.
D) La tua opera è un modo di raccontare i rapporti tra l’Oriente e l’Occidente. Da europeo che vive a Shanghai come consideri la sensibilità ambientale dei cinesi e degli abitanti di Shanghai in particolare?
R) In realtà la mia opera è un tentativo – spero efficace – di far percepire l’incomunicabilità. Il tema del rapporto Oriente/Occidente è solo circostanziale. Shanghai e’ la principale porta tra la CIna e l’Occidente, quindi molto di quello che succede qui e’ pura comunicazione, se non propaganda. Basta spostarsi un po’più in là nel Paese e le cose cambiano drasticamente. I numerosi stranieri venuti quest’anno per l’Expo 2010 potrebbero aver notato, ad esempio, che in fondo, anche qui a Shanghai il cielo e’ spesso blu, e non sempre grigio e miasmatico come si immagina. Questo effetto scenico e’merito miracoloso del governo cinese. In fase di preparazione dell’EXPO tutte le fabbriche che erano in città sono state spostate fuori e quelle rimaste sono state temporaneamente chiuse. Tutti i cantieri – e a Shanghai i cantieri sono incredibilmente tanti – sono stati chiusi a maggio. Questo ha prodotto un notevole e benefico calo delle polveri sottili. Pare anche che siano stati sparati agenti chimici nell’atmosfera, per influenzare il clima. Morale della favola: quest’estate ho potuto godermi nuvolette bianche e un cielo che, se non proprio blu come quello italiano, era senz’altro molto più colorito del solito. Una cosa simile era già successa durante le Olimpiadi del 2008 a Beijing dove ora i livelli di inquinamento sono risaliti moltissimo. Se in Italia si presta, in confronto a tantissimi altri stati, poca attenzione all’ambiente, in Cina la situazione e’ senz’altro peggiore. Non riesco però a ignorare quell’argomento – che molti giudicano irrilevante e retorico – che noi in Occidente, oltre ad aver causato più di tutti l’attuale situazione ambientale, godiamo oggi di una qualità di vita tale da poterci permettere questo tipo d preoccupazioni. La maggioranza dei cinesi, guadagnando 80 euro al mese, e patendo inverni rigidissimi, e’ poco incline a rinunciare al più economico carbone per sostituirlo con pannelli solari…
D) A questo proposito: il tema dell’Expo era Better City, Better Life. Hai visto una corrispondenza concreta con quanto esibito nei Padiglioni nazionali o si tratta ancora, per la Cina, di un’aspirazione ideale lontana a venire?
R) Ho visto solo cantieri enormi andare avanti per oltre un anno, padiglioni giganteschi di dubbio gusto tirati su per poi essere buttati giù nel giro di un anno e ho visto gli organizzatori disperati nel tentativo di invogliare i cinesi a visitare il proprio paese e comprare i propri prodotti. Gli italiani in questo senso hanno fatto un ottimo lavoro e i cinesi, malati di consumismo, hanno molto apprezzato il nostro padiglione, che forse più di tutti ricordava un mercatino. Detto questo c’e’ un problema linguistico che e’ alla base di una sostanziale incomprensione e che non e’ stato sufficientemente evidenziato: la traduzione più corretta dal cinese dello slogan dell’Expo non sarebbe “una città migliore, una vita migliore”, ma “la città contribuisce ad una vita migliore”. Questo slogan e’ legato a un contesto completamente diverso, molto più caro al governo cinese, ossia quello dell’esodo della popolazione dalla campagna alla città.
D) I tuoi gesti quotidiani di sostenibilità ambientale –se ce ne sono – sono uguali quando ti trovi in Italia come quando sei a Shanghai o ti senti influenzato ad agire più o meno virtuosamente a seconda del contesto che ti circonda?
R) Ammetto che solo negli ultimi anni ho sviluppato una coscienza ambientale, che purtroppo e’ più una sofferenza e un rimorso che un vero spirito attivo. Temo sia ancora a causa del retaggio cattolico e del maledetto senso di colpa. In ogni caso i miei sono veramente piccoli gesti, quelli che dovrebbero essere solo il punto di partenza: non sprecare acqua quando mi lavo, spegnere le luci, non buttare le cartacce, non chiedere sacchetti di plastica se non ne hai bisogno. In compenso, a fronte di queste inezie, viaggio spessissimo in aereo e credo che il supplemento che pago per le emissioni sia solo un palliativo.
D) Qual è la città che ti ha più colpito, nel mondo, per l’attenzione alla sostenibilità ambientale?
R) Per quanto rispetti molto quest’attenzione, quando viaggio scelgo più frequentemente mete che sono rimaste un po’ indietro nel progresso in senso occidentale, il che purtroppo coincide spesso col restare indietro per quanto riguarda la sostenibilità. Non ho francamente grandi esempi da portare. In maniera indiretta potrei citare il Giappone, che mi viene raccontato da molti amici come attentissimo a certi equilibri.
D) Quale pensi che sia oggi il più grave e urgente problema ambientale?
R) Come dicevo, io purtroppo viaggio molto in aereo, ed e’ veramente la cosa peggiore che si possa fare. Ogni volta che ne ho la possibilità prendo il treno e, nelle rare e più gradite occasioni, la nave. Sarei per l’abolizione dei jet privati, e anche dei viaggi all’estero nel weekend, che oltre a impattare sull’ambiente, mancano totalmente di poeticità e creano, negli stolti, la stupida e falsa convinzione di aver veramente visitato un luogo. Credo poi che siano dannosi i trasporti di merce su gomma – e in Italia siamo veramente dei loschi maestri in questo campo! Bisognerebbe che si sfruttassero molto di più le ferrovie e il trasporto navale.
Andrea Gandiglio