Sostenibilità e modelli collaborativi: l’innovazione parte dal territorio
Con l’articolo di Antonio Tencati, Assistant Professor Management & CSR, continua, nella sezione Top Contributors di Greenews.info, la serie di interventi dei docenti del Master MEMAE Bocconi.
L’edizione 2010 del Salone del Gusto e di Terra Madre, svoltasi a Torino dal 21 al 25 ottobre, ha ottenuto uno straordinario successo di pubblico con oltre duecentomila visitatori, di cui il 30% stranieri, ed una ricaduta economica sul territorio stimata attorno ai 100 milioni di euro. Tuttavia, l’evento non ha solo un’importanza commerciale, ma è anche e soprattutto un fondamentale laboratorio politico e culturale, dove vengono avanzate iniziative e proposte per diversi e più consapevoli modelli di produzione e consumo.
A riprova di questa considerazione il 24 ottobre è stato illustrato il documento su “Sostenibilità e Politiche Alimentari”, che, nella sua versione definitiva, verrà presentato il 10 dicembre in occasione del Terra Madre Day. Si tratta di un altro elemento della strategia di Slow Food, volta a promuovere modelli di sviluppo locale rispettosi della terra e dell’uomo, in grado di costituire una credibile e praticabile alternativa a un paradigma competitivo ancora dominante, basato sulla prevalenza dello short-termism e sulla logica della massimizzazione dello shareholder value a discapito delle altre constituencies, che, ad evidenza, risulta insostenibile.
In effetti, la situazione mondiale è chiara per chi sa e vuole leggere dati e tendenze. La crisi economico-finanziaria è l’ultimo, dirompente sintomo di una patologia più ampia, caratterizzata anche da emergenze sociali, ambientali, istituzionali, culturali.
Circa un miliardo di persone soffre di fame cronica. L’impronta ecologica dell’umanità supera del 50% la capacità di carico del pianeta e, mentre le distanze sociali aumentano all’interno delle nazioni e tra Paesi, nel Nord del mondo la corsa alla crescita non rende i cittadini più felici. Al proposito, un dato riguardante l’Italia dovrebbe indurre a serie riflessioni, specialmente in sede politica: ormai circa il 7% del suolo nazionale risulta coperto da aree artificializzate. Gli stessi meccanismi di funzionamento della fiscalità locale, in cui le costruzioni rappresentano una fonte di entrate cruciale per i Comuni, hanno un evidente effetto distorsivo.
La sfida della sostenibilità, dunque, impone un profondo cambiamento nei paradigmi socio-economici, nelle coordinate interpretative, nelle modalità d’azione. Richiede di superare il mantra della competizione fine a se stessa per adottare forme dicollaborative governance tra soggetti pubblici, imprese e società civile. In questo quadro, Slow Food è un innovativo esempio di global action network, ossia di un’iniziativa multi-stakeholder volta a generare reali cambiamenti di sistema. E’ una prassi di globalizzazione virtuosa, che mette al centro della propria azione il cibo, le comunità locali, le loro identità, in una logica di rispetto, tutela e piena valorizzazione della biodiversità nelle sue varie declinazioni (ecologica, economica, sociale, culturale, ecc.).
L’esperienza di Slow Food si fonda su e promuove lo stesso approccio collaborativo, cui si ispirano le imprese migliori. La collaborative enterprise, infatti, supporta la propria sostenibilità lavorando per la sostenibilità del network di cui è parte e attivando processi ampi e condivisi di creazione di valore(i) per i differenti portatori d’interessi coinvolti. Si tratta di un modello che supera la prospettiva mainstreamprevalente e comporta una diversa e più completa visione del successo d’impresa. Se si vuole realizzare un vero sviluppo, è necessario integrare la tradizionale dimensione finanziaria per tenere conto delle istanze dei vari stakeholder (collaboratori, soci/azionisti, clienti, fornitori, partner finanziari, Stato, enti locali e pubblica amministrazione, comunità e ambiente) secondo un’ottica multiple bottom line.E’ dalla capacità di costruire relazioni sostenibili con i membri del proprio stakeholder network che l’impresa collaborativa deriva il suo successo duraturo.
Questa categoria interpretativa nuova trova nel nostro Paese opportunità di declinazione molto interessanti, perché si collega ad alcune caratteristiche distintive del tessuto produttivo italiano. Si pensi, ad esempio, ai distretti, alle reti di piccole e medie imprese, alle aziende familiari, alle filiere cooperative, alle esperienze più felici nel settore pubblico, ecc. Il framework collaborativo, allora, può svolgere un ruolo fondamentale nell’attuale fase di transizione innescata dalla crisi finanziaria. Bisogna creare, adesso, le condizioni per un diverso modello di sviluppo: ragionare di green economy o, in una accezione più estesa, di sustainable economy significa esattamente questo. E la strategiaEuropa 2020, assieme alla correlata Comunicazione della Commissione Europea, pubblicata alla fine d’ottobre e intitolata “Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione. Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità”, richiede proprio d’immaginare policy nuove, in cui l’eco-efficienza e l’eco-efficacia, i processi e i prodotti low o zero carbon, la social responsibility siano gli elementi chiave per combinare competitività, qualità della vita, coesione sociale e tutela del capitale naturale. Questi traguardi si possono raggiungere solo attraverso una collaborazione estesa tra imprese, soggetti pubblici e società civile per promuovere reali innovazioni di sistema, che, partendo dai territori, costruiscano più avanzati percorsi di sviluppo.
Antonio Tencati
Antonio Tencati è Assistant Professor of Management and CSR, CReSV (Centro Ricerche Sostenibilità e Valore), Università Bocconi. Curatore, con il Professor Laszlo Zsolnai della Corvinus University di Budapest, del volume The Collaborative Enterprise: Creating Values for a Sustainable World, pubblicato da Peter Lang AG – International Academic Publishers, Oxford-Bern.