Investimenti in energie rinnovabili e politiche pubbliche: lo studio IEFE Bocconi
Investimenti all’estero in energie rinnovabili: l’Italia c’è? E’questa la domanda che ci si è posti nella presentazione, all’Università Bocconi, dello studio “Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche“, curato dall’Istituto IEFE in collaborazione con Ernest & Young.
Dal report di Annalisa d’Orazio e Federico Pontoni emerge, innanzitutto, una tendenza globale alla crescita degli investimenti in energie rinnovabili, giunte a rappresentare, nel 2010, un quarto della capacità mondiale complessivamente installata.
Le aree geografiche che hanno attratto la maggior parte degli investimenti nel 2009 sono state l’Europa (37%), la Cina (28%) e il Nord America (17%), mentre sta diventando un’area “vocata” alle rinnovabili anche il Brasile (7%).
Dall’analisi delle tipologie di impianto sulle quali, prevalentemente, si concentrano gli investimenti, emerge la netta preferenza verso gli impianti eolici (56,3%), seguita dagli impianti solari (15,2% del totale), dagli impianti a biomasse e biogas (9%) e i biocarburanti (5,8%). Nel 2009 l’area mondiale con la maggior quota di TWh di energia elettrica rinnovabile prodotta è ancora l’UE, con il 17,5% (molto vicina dunque agli obiettivi del 2020), seguita da Stati Uniti e Cina.
L’UE presenta tuttavia situazioni ampiamente differenziate all’interno degli Stati Membri. I paesi leader sono la Germania e la Spagna, ma con una netta ripresa di alcuni paesi, tra cui l’Italia. Nuove aree altamente attrattive di investimenti, quali Portogallo, Repubblica Ceca, Grecia, Bulgaria, Polonia e Romania, stanno invece emergendo di recente.
La particolarità degli investimenti in energie rinnovabili è di essere fortemente condizionati da fattori indiretti, non strettamente legati a scelte strategiche aziendali: fattori che riguardano le caratteristiche naturali del Paese destinatario degli investimenti (presenza di vento, temperature, acqua, etc.) e le politiche di supporto messe in campo dai rispettivi Governi.
Per quanto riguarda le politiche pubbliche emerge che le misure di sostegno condizionano pesantemente le decisioni di investimento all’estero in impianti rinnovabili. Una delle azioni fondamentali che ha favorito gli investimenti nell’ultimo decennio è stata infatti la privatizzazione-liberalizzazione del mercato energetico. Anche l’intervento delle politiche sovra-nazionali costituisce poi un fattore incentivante .
Ultimo, ma non meno importante, tra le politiche, è il sostegno economico alla diffusione delle rinnovabili. Per garantirne l’efficacia sono tuttavia importanti una serie di condizioni “di contorno“, che spaziano dalle procedure amministrative di entrata e di connessione alla rete, alle caratteristiche del sistema bancario e finanziario, fino al consenso dei cittadini.
La crescente attenzione dei Governi alle politiche ambientali e alla promozione delle energie rinnovabili ha indubbiamente generato un interesse crescente degli operatori energetici e degli investitori finanziari verso un mercato delle rinnovabili di dimensioni allargate, avviando un processo di internazionalizzazione, che pur in fase nascente, si presenta molto differenziato da Paese a Paese.
Nell’indagine, svolta da gennaio ad aprile 2010 da IEFE e Ernest & Young su un campione di imprese italiane che operano nel settore energetico, emergono risultati interessanti per ciò che concerne le motivazioni principali di queste scelte strategiche di investimento. Le politiche di supporto rimangono determinanti, così come la “disponibilità” della componente tecnologica.
Ma vediamo le caratteristiche dell’investimento: le imprese privilegiano investimenti sul territorio nazionale, in impianti di piccola e media taglia dotati di tecnologie mature (idroelettrico, geotermico). Tanto che gli investimenti esteri, ad oggi molto ridotti ma con buone prospettive, replicano, di fatto, le peculiarità di quelli intrapresi sul territorio nazionale.
Nel processo di internazionalizzazione a livello mondiale, le imprese italiane sono comunque piuttosto in ritardo. Ne abbiamo parlato con Annalisa D’Orazio, direttrice di ricerca allo IEFE e co-autrice del rapporto.
D) Dottoressa, quali sono le motivazioni di questo ritardo?
R) Le cause che lo condizionano possono essere ricondotte a tre ragioni fondamentali. La prima riguarda una minore presenza nei mercati delle tecnologie; la seconda consiste nella modesta dimensione, così come la ridotta dotazione di capitale finanziario a disposizione; la terza è riconducibile a una minore capacità “culturale” di penetrazione in alcune aree internazionali, dovuta ad una ridotta destrezza nel fare rete e utilizzare adeguati strumenti finanziari.
D) Quali dovrebbero essere le azioni per favorire un’internazionalizzazione più estesa?
R) Sicuramente sarebbero auspicabili azioni per la crescita dimensionale delle aziende, così come un utilizzo più proficuo degli strumenti finanziari a disposizione. Infine, agevolare la costituzione di reti di aziende con l’aiuto di istituti dedicati e incrementare gli investimenti nella produzione di tecnologie, faciliterebbero l’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Simone Falorni