Un istogramma (sulla CO2) alla Borsa di Bruxelles. Intervista a Anna Scalfi Eghenter
Il palazzo della Borsa di Bruxelles è stato sede inconsueta dell’intervento di molti artisti, fin dalla sua costruzione nel 1869. Alcuni le attribuiscono addirittura il contributo di Auguste Rodin. Chi si trovasse in visita nella capitale belga, non potrà fare a meno di notare che sulla facciata del tempio della finanza, in questi giorni, è esposto il valore di un’ “emissione” non quotata sul mercato azionario, ma che ha tuttavia un peso sempre maggiore sul Pianeta: l’anidride carbonica.
L’artista trentina Anna Scalfi Eghenter ha incrociato il dato economico a quello ambientale proponendo un’installazione site-specific sul tema del cambiamento climatico, dal titolo “Histogram”: i volumi delle emissioni di CO2 dell’ultimo secolo sono rappresentati tramite un istogramma scultoreo sulle colonne antistanti il palazzo, fasciate di un manto erboso sintetico che si sviluppa in un’altezza proporzionale ai valori assunti nel tempo.
Abbiamo intervistato l’artista per comprendere meglio la sua ”ispirazione ambientale”.
D) In un’epoca in cui l’andamento dei mercati è più che mai oscillante e imprevedibile, lei ha voluto installare, sulla facciata della Borsa di Bruxelles, un vero e proprio istogramma con valori evidentemente – e inesorabilmente – crescenti nel tempo. Come è nata Histogram? E’vero che l’opera, fin dal 2007, era stata progettata per il palazzo della Borsa di Parigi, dove però l’autorizzazione fu negata?
R) Trovo interessante che il panorama contemporaneo venga definito e restituito alla nostra conoscenza attraverso cifre e dati statistici, o quantomeno in questa veste scientifica assuma i tratti più credibili di realtà. Nel caso di quest’opera ho scelto un edificio rappresentativo degli interessi economici e finanziari, in nome dei quali vengono attuate o meno politiche di sfruttamento o sostenibilità ambientale. Ho sovrapposto il concetto di emissione di gas a quello finanziario di emissione di titoli e tracciato le colonne di un istogramma sulle colonne dell’edificio stesso. Proprio in un periodo in cui tutte le borse stavano crollando un solo valore aveva un andamento solidamente ascendente, ed era contrario agli interessi del mondo: quello della CO2. La Borsa di Bruxelles ha assunto una posizione di grande apertura; avevo proposto a diversi istituti il progetto, ma solo loro hanno risposto positivamente. La Città di Bruxelles, con grande trasparenza burocratica, nelle modalità e nei tempi, ha considerato e protocollato la mia richiesta via e-mail e mi ha dato il permesso di realizzarla. L’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Trento mi ha poi dato il supporto per poterla costruire. La storia di un progetto è anche nel processo di permessi, fiducia e collaborazioni che lo hanno reso possibile. Come l’attribuzione al progetto del patrocinio della Fondazione Galleria Civica di Trento, del Museo Tridentino di Scienze Naturali, del WIELS – Centre d’Art Contemporain de Brussels e dell’Institut Royal des Sciences Naturelles de Belgique.
D) Nel corso degli ultimi anni, da un iniziale impegno più legato al “sociale” (“Welcome to Italy”, o “Money will save the world”) le sue opere si sono sempre più concentrate su tematiche connesse all’ambiente, all’energia e alla sostenibilità. Come è avvenuto questo passaggio: è stata una transizione progressiva oppure ci sono episodi specifici che l’hanno influenzata in tal senso?
R) Probabilmente entrambe le sue ipotesi sono rintracciabili nelle dinamiche che stanno alla base della concezione di un lavoro. Lo stimolo di immagini e informazioni è quotidiano, ma queste si sovrappongono poi con altre nella costruzione del progetto. L’anno di realizzazione di un lavoro, nel mio caso, non è quasi mai l’anno di ideazione. Molti progetti prima di essere presentati richiedono mesi o anni di preparazione – per permessi, progettazione, reperimento di fondi e opportunità di presentarlo. Ogni lavoro ha una sua vita e un momento in cui convergono tutti gli elementi che consentono di farlo partire.
D) Mi colpisce il fatto che i titoli di queste opere più recenti siano molto evocativi ma non racchiudano, di per sé, riferimenti a tematiche ambientali. Penso ad esempio all’installazione “Chat” alla Facoltà di Economia di Venezia, ma anche alla stessa “Histogram”, che ha un titolo se vogliamo asettico, in quanto riferito a un concetto matematico-statistico. Si tratta di una scelta intenzionale?
R) Non mi interessa che il contenuto sia ribadito nel titolo – come una didascalia del lavoro visivo – ma che emerga dal lavoro stesso. Il titolo è un elemento del lavoro come un materiale, un oggetto o una forma; contribuisce a estendere la complessità o a focalizzare la direzione della consistenza del lavoro. “Chat”, ad esempio, è una scala in ferro alta otto metri, di cui i primi sette senza gradini e arrugginiti. È posizionata al livello del mare, dove un aumento di due gradi della temperatura globale causerebbe un innalzamento di 7 metri. Altri invece ridimensionano l’allarme, smentiscono le previsioni e le considerano “chiacchiere”; proprio da qui, dall’ipotesi contraria, ho scelto il titolo che riporta a una pluralità di opinioni e al paradosso della totale negazione del rischio, che lo rende ancora più grave.
D) L’attenzione nei confronti dell’ambiente, oltre a essere centrale nel concept delle opere, ha dei riscontri anche nella loro realizzazione pratica ad esempio nella scelta di materiali a basso impatto ambientale o altri accorgimenti?
R) Tutto il processo produttivo del lavoro entra nel contenuto del progetto. Dalle modalità ai materiali. Il manto erboso sintetico utilizzato per la parziale copertura delle colonne in Histogram è completamente riciclabile, ad esempio. Ho fatto una lunga ricerca di materiali e ipotesi realizzative, confrontando le caratteristiche delle varie proposte anche sulla base di un basso impatto ambientale.
Eva Filoramo