L’incubo del nucleare: le scorie
Il 13 ottobre scorso l’emittente franco-tedesca ARTE ha trasmesso in anteprima mondiale il documentario “Déchets, le cauchemar du nucléaire” – “Le scorie, l’incubo del nucleare” – di Éric Guéret e Laure Noualhat, accompagnato dalla pubblicazione di un libro e di un Dvd acquistabili sul sito di ARTE.
Il film, che in Francia ha causato un dibattito piuttosto acceso, cerca di chiarire quelli che sono gli aspetti più controversi e nascosti dell’energia nucleare, ossia quelli legati allo smaltimento delle scorie; “perché le scorie sono il punto debole del nucleare, sono il suo tallone d’Achille, il suo peggior incubo.”
In un’epoca come quella attuale, in cui l’approvigionamento energetico e il riscaldamento globale sono problemi reali, alcuni propongono l’energia nucleare come soluzione “pulita” a lungo termine. Gli autori del documentario, Guéret e Noualhat, hanno cercato di fare il punto sulla questione, con risultati per molti versi impressionanti.
Laurie Noulhat in un’intervista video (disponibile qui, in lingua francese) racconta come i primi tentativi di “risolvere” i problemi di smaltimento risalgono al 1947, quando gli americani gettarono migliaia di tonnellate di scorie radioattive direttamente nell’oceano, imitati da inglesi e svizzeri e dalla maggior parte dei paesi nuclearizzati. ”Pratica decisamente comoda: la preoccupazione infatti è come farle sparire, non come gestirle”, sostiene la Noulhat.
Le fa eco Guéret, regista e autore del documentario: in tutte le indagini d’archivio svolte emerge che i ricercatori coinvolti nello sviluppo dell’industria nucleare inizialmente non considerarono le scorie un problema: “in una Natura che all’epoca sembrava infinita, la strategia migliore, secondo loro, era proprio quella della diluizione dei rifiuti radioattivi nell’ambiente.”
Questo modus operandi, secondo gli autori, è continuato finché le prime associazioni ambientaliste, a partire da Greenpeace, non hanno iniziato – negli anni ’90 – a sensibilizzare i cittadini sull’urgenza del problema e sulla sua rapidità di diffusione. Per fare un esempio: gettare scorie a La Hague (dove la Francia dovrebbe stoccare e processare le scorie) può avere ripercussioni sul paese di Tomsk, in Siberia – dove infatti sono stati recentemente trovati rifiuti nucleari francesi.
Eppure la Francia è stata la prima nazione a dotarsi di un’agenzia per lo smaltimento delle scorie radioattive (Andra), nel 1979, e a promulgare una legge apposita – la “Loi Bataille” del ’91, seguita, quindici anni dopo, da un’ulteriore legge sulla gestione dei rifiuti dell’industria nucleare. Ciò che spesso non è così evidente al cittadino è che esiste infatti una vera e propria industria che vive sull’energia nucleare, il che pone la questione degli interessi economici in gioco e della compatibilità di questi con i problemi dell’ambiente.
In risposta ai dati forniti dalla lobby nucleare francese la Noualhat fa alcuni calcoli: “Non è più una questione ambientale, è una questione di efficacia industriale del ritrattamento: le fonti sostengono che il 96% dei materiali è riciclabile. Tuttavia, ci siamo resi conto che l’85% di questi materiali è conservato e il restante 15% è inviato in Russia, a Tomsk. Laggiù, un processo di riarricchimento fa in modo che si elimini il 90% del materiale; il restante 10% viene riportato in Francia e utilizzato solo in 2 dei 58 reattori. In teoria, quel che viene riciclato è il 10%, mentre in realtà è l’1,5%”, perché viene riciclato soltanto il 10% del 15% del materiale dichiarato riciclabile. Tutto il resto viene in un certo senso “abbandonato” alle generazioni che seguiranno”.
L’Italia, com’è noto, non ricorre più al nucleare come forma di approvvigionamento energetico fin dal referendum abrogativo del 1987 (che sancì di fatto la chiusura delle quattro centrali presenti nel nostro Paese), ma il dibatitto si è recentemente riaperto anche nella Penisola.
Quali che siano i singoli sviluppi nazionali, tuttavia, dal documentario di Guéret e Noualhat emerge piuttosto chiaramente come il problema dello smaltimento delle scorie non abbia davvero confini.
Eva Filoramo