Malumori di un letterato impuro
In occasione del Festival Cinemambiente 2009 il Circolo dei lettori di Torino ha ospitato, nella splendida cornice di Palazzo Graneri della Roccia, un ciclo di aperitivi letterari per presentare le ultime novità editoriali in tema di ambiente.
Venerdì 9 ottobre Michele Luzzatto, biologo e editor per la saggistica scientifica di Einaudi, ha introdotto il libro di Antonio Pascale “Scienza e sentimento”, con un’ampia premessa sul (bistrattato) ruolo della cultura scientifica in Italia.
Una disputa, quella tra cultura scientifica e cultura umanistica, che risale ai tempi della famosa polemica tra Benedetto Croce ed il matematico Federico Enriques, il quale, durante il IV Congresso Internazionale di Filosofia del 1911 venne messo a tacere dall’illustre padre dell’idealismo con l’affermazione che “solo le menti universali o profonde possono davvero accedere alla cultura, ovvero alla filosofia e alla storia…agli ingegni minuti si può concedere di interessarsi all’aritmetica e alla botanica”!
Questo predominio, spiega Luzzato, non è ancora terminato. In Italia la cultura pare tuttora governata dagli umanisti, refrattari a considerare altrettanto culturale (con la “C” maiuscola) il sapere che viene dalla scienza e dai suoi rappresentanti. Anche i colti letterati, pur riconoscendo il ruolo e il valore della scienza, ritengono che su temi non scientifici gli scienziati non siano in grado di pronunciarsi, in quanto “vili meccanici” mossi solamente dal desiderio di ricerca, privi delle necessarie competenze per esprimersi in materia di etica e religione.
E’ da queste premesse che muove il libro di Pascale: combattere i pregiudizi dell’antiscientismo e trovare un dialogo tra scienza e sentimento. L’opera viene definita dall’autore “saggio personale”, un genere molto diffuso nei paesi nordici – con una nobile matrice: i dialoghi platonici. La struttura presenta tre caratteristiche principali: antiretoricità (per evitare inganni con le parole); eliminazione dell’azione drammatica a favore del ragionamento logico; assenza di insegnamenti indotti e spazio alla maieutica (l’arte di far partorire all’interlocutore la verità già insita in lui).
Il saggio parte da ragionamenti empirici, dando il via ad un esame di coscienza “per entrare in contatto con i propri cattivi umori”. E qui torniamo all’annosa querelle. I cattivi umori di Pascale nascono infatti dalla constatazione che la maggior parte degli intellettuali “puri” (gli umanisti per intenderci), pur non possedendo alcuna nozione in campo agronomico, zootecnico, chimico, biotecnologico, genetico, ecc. ostenta sicurezza ed esprime opinioni personali usando categorie come naturale (bene), artificiale (male), chimico (veleno), organico (sano), che consentono il plauso dell’opinione pubblica al prezzo della “stilizzazione” e imprecisione dei concetti utilizzati.
“L’intellettuale , soprattutto in determinate questioni che richiedono competenze scientifiche, rischia spesso di usare la tecnica del riflettore e dunque di trasformarsi in un amplificatore di consenso – il contrario dell’analista. E’ sufficiente dichiarare di avere fiducia nelle proprie beneamate capacità si semplificazione . Tanto basta per far credere che la soluzione sia lì a portata di mano, semplice e ovvia, il progresso vicino, luminoso, e si vada sempre avanti, in linea retta senza tentennamenti. Di contro, analisi più rigorose non riescono a ottenere il giusto consenso e la dovuta attenzione, proprio perché non possiedono uno slogan a effetto o se lo possiedono non è abbastanza forte, comunque non capace di aggregare un vasto pubblico”.
Uno degli esempi preferiti da Pascale per illustrare i cattivi umori che quotidianamente turbano la sua giornata è il concetto di fragola-pesce – ovvero la spiegazione che un OGM, un organismo geneticamente modificato, è il prodotto dell’unione di due entità totalmente estranee tra loro, un vero e proprio cibo di Frankenstein. Espresso da Mario Capanna, scrittore, politico e presidente del Consiglio dei Diritti Genetici, durante la trasmissione Unomattina è stato, secondo l’autore, uno dei modi più efficaci per creare allarmismo e una diffusa imprecisione sulle biotecnologie.
Sarebbe forse più opportuno – questo il suggerimento – abolire le immagini semplificate (come quella della mostruosa fragola-pesce) e lasciare a chi è competente in materia la possibilità di spiegare le novità dello sviluppo tecnologico, argomentandole con la dovuta cura e perizia e abbandonando il falso mito del “prima era meglio”.
“La concezione artigianale della vita è tramontata da anni, e non si può essere competenti in tutto, ma nemmeno sostenere con falso spirito naif, agli angoli delle strade, che ci stiamo allontanando da una presunta età dell’oro. Sarebbe più utile per tutti se i volontari di Greenpeace parlassero di alcune cose solo dopo averle ben studiate , amate o detestate, di modo che possano, per esempio, rispondere per le rime ai genetisti scoccianti, invece che contribuire alla stesura (all’angolo di una strada) di un imbarazzante dialogo dell’assurdo, tra un uomo moderno che si scopre preistorico e uno moderno che ha studiato bene la preistoria”.
Come avrebbe detto un precursore di Pascale: il sonno della ragione genera mostri.
Elena Marcon