Umberto Spinazzola: il “regista del cibo” verso un nuovo film
Umberto Spinazzola è il regista del fortunato talent show culinario Masterchef, ma non solo. Fra gli altri progetti i lungometraggi Cous Cous (1996) e L’ultimo crodino (2009), cui presto andrà ad affiancarsi il lavoro attualmente in fase di realizzazione, Quello che non ho, prodotto dalla Sarraz Pictures di Torino con il contributo di FIP e Film Commission Torino Piemonte. Un regista, dunque, che attraverso il suo lavoro desidera anche diffondere una cultura del cibo inteso come valore autentico, simbolo e specchio di tradizioni e territori.
D) Umberto, che cosa ci racconterai in Quello che non ho?
R) Affronterò un tema per me molto importante. Ho preso spunto da un romanzo ispirato a una storia vera riguardante lo spreco alimentare, è un punto di partenza per svelare un po’ di verità nascoste. Il cinema, a differenza delle tv e dei giornali, è ancora un’isola che ti permette di raccontare come stanno le cose realmente. Ma al momento non posso rivelare di più del progetto, dobbiamo ancora iniziare a girarlo.
D) Perché hai scelto di realizzare un film sullo spreco alimentare?
R) Perché il cibo ha una grande influenza sul nostro futuro. Le persone non riflettono più sul cibo, non immaginano quanto inganno c’è dietro: tre quarti degli alimenti che mangiamo non sono quello che dichiarano di essere, la provenienza spesso non è quella reale, i controlli sono sommari. Credo che un film in cui si affrontano determinati temi possa scuotere le coscienze e aiutare le persone a capire, a modificare le abitudini.
D) Qual è il tuo rapporto personale con il cibo?
R) Per me il cibo è un valore assoluto, è un bisogno primario, fa parte integrante della nostra esistenza. È importante come respirare. Per questo ritengo che sia nostro dovere difenderlo a tutti i costi, altrimenti il rischio è di andare verso una situazione di non ritorno, dove tutto diventerà monopolio delle multinazionali. Bisogna lottare per mantenere viva la cultura della cucina povera, del cibo semplice. La gente è come se fosse addormentata, presa a metà fra le mode da un lato e dalla grande distribuzione dall’altro.
D) Come si può essere sostenibili attraverso il cibo?
R) Basta riappropriarsi della terra, tornare a rispettarla e ad avere un rapporto diretto. Dove si è tornati a stabilire questo legame, l’economia è risorta, dimostrando esattamente il contrario di quanto ci viene detto: la terra non è morta. Chi lavora sull’eccellenza fa fatica, perché è schiacciato da un modello economico che non permette al piccolo di sopravvivere. Bisogna ribellarsi a questo modello, uscire dalle mode, dribblare la massificazione del gusto, riscoprire il valore del territorio.
D) Cosa pensi della situazione italiana dal punto di vista del rapporto cibo/ambiente?
R) L’Italia è un paese fortunato, nessuna nazione ha un tale potenziale di cibo genuino, ma lo stiamo perdendo. Bisogna mantenere questo patrimonio dando potere all’azione delle singole regioni. Qualche iniziativa c’è, ma è sempre tutto subordinato alla politica. Si pensa alla terra solo in termini di edilizia, si costruisce tantissimo sul territorio, ma più per esigenze di business che per reali necessità abitative. Si dovrebbe prima capire quanti edifici nuovi e vuoti sono stati eretti, invece si continua a costruire senza sosta.
D) Quali sono le azioni quotidiane che suggerisci per un comportamento eco-sostenibile?
R) Per esempio, partire dal carrello della spesa: non riempirsi il frigo come se ogni settimana si dovesse fare la scorta per mesi. E poi avere il coraggio di cucinare pietanze semplici. Basta una pasta con il pomodoro per cenare in modo sano. Infine, è importantissimo mangiare il più possibile a “km 0″. Sfruttare la verdura e la frutta di stagione, anche se i supermercati ormai ci abituano ad avere tutto per tutto l’anno.
D) L’ultima domanda è per Masterchef: cosa ti ha insegnato questa esperienza?
R) Passare molti mesi a contatto con l’eccellenza mi permette di conoscere persone interessanti in cerca continua della qualità, costantemente in lotta per comunicare e diffondere la cultura dell’importanza dell’ingrediente. Li paragono a dei poeti: che sia carne, pesce, pasta, lavorano sempre sulla qualità. Un valore che la gente sta perdendo: per comprare un pomodoro che abbia davvero sapore di pomodoro devi spendere almeno due ore, perché ormai è impossibile trovarlo facilmente. Anche per questo la gente non riflette più sull’ingrediente, perché si accontenta del pomodoro dal sapore finto piuttosto che impegnarsi nella ricerca.
Daniela Falchero