“Una strada per ricominciare”: la seconda vita del pensionato Bernard Ollivier
Una nuova vita al di là del lavoro, oltre la famiglia, oltre le passioni che prima o poi finiscono. Una rinascita che passa attraverso la scoperta del Cammino di Santiago de Compostela che l’autore percorre a piedi partendo da Parigi. Ma poi l’avventura continua in un’impresa mai tentata prima lungo la Via della Seta: a piedi da Istanbul a Xi’an, in Cina, in quattro tappe annuali di tremila chilometri ciascuna. Il libro diventa così il racconto di come si passa dalla depressione alla gioia intima di un rapporto profondo con la natura e di nuove relazioni con gli altri. E l’esito è sorprendente. Il giornalista Bernard Ollivier racconta questa sua nuova vita in cammino nel libro “Una strada per ricominciare“, da poco pubblicato dalla casa editrice Terre di Mezzo. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi un estratto della prefazione.
Pensionato! Sono ormai dieci anni che sono entrato, con molte difficoltà, in questa veste un po’ vaga, in questa condizione che non è né uno stato civile, né una classe sociale, ancora meno un impiego e di certo non una professione. Siamo però in milioni a viverla e a essere anche pagati per questo. Più o meno bene.
Se non è uno stato civile, che sia uno stato d’animo? Per quel che mi riguarda, è da una decina d’anni che racconto a migliaia di persone, in Francia e all’estero, e non solo ad anziani, la mia vita di pensionato un po’ particolare. Mi hanno chiesto di scriverla, per quanto il mio percorso, certamente un po’ fuori dal normale, non abbia niente di miracoloso.
Può essere che la mia storia, cominciata come una fuga, continuata con un’avventura in capo al mondo, poi incappata in una catena di amicizie e di speranze, abbia una portata così generale da meritare di venire raccontata?
Checché ne pensi qualcuno dei miei lettori, io rifiuto il titolo di eroe dopo l’avventura vissuta sulla Via della Seta. Quel che ho fatto io, lo può fare chiunque. Si tratta molto semplicemente di mettere un piede davanti all’altro e continuare a ripetere questo gesto per circa quindici milioni di volte. Una cosa che si fa da millenni senza che nessuno se ne vanti. Non era una meta a condurmi, ma il cammino stesso. Certamente, mi ci sono volute un po’ d’incoscienza per partire e un po’ di fortuna per tornare e, fra l’una e l’altra, una buona dose di ostinazione che, essendo della Normandia, devo forse alla mia ascendenza bretone. Da quando sono nella lista dei beneficiari della Cassa nazionale di assicurazione per la vecchiaia (Cnav, per i numerosi iniziati) vivo in un sogno, sebbene l’inizio sia stato difficile.
Per alcuni la pensione può essere un dramma. Certi ne muoiono, altri incupiscono. Altri ancora ci passano accanto e, se non reagiscono prontamente, si accorgono che“ahimè, è troppo tardi per disperarsi”, come cantava Jeanne Moreau. Perché non va dimenticato che dopo la pensione c’è la fredda terra del cimitero o le fiamme del forno crematorio.
“La vecchiaia è meravigliosa… peccato che finisca così male!” diceva François Mauriac. Allora, visto che è così, meglio non restare impastoiati ancor prima del triste finale. Perché sprofondare in pseudo-vacanze o in un lungo letargo quando c’è l’eterno riposo che ci aspetta? Se il mio percorso può offrire qualche spunto sul modo di vivere la propria realtà di pensionato a quei milioni di baby-boomer che adesso stanno cessando la loro vita professionale o la cesseranno nei prossimi anni, allora, in effetti, non si tratta più solo di raccontare: devo scrivere. Mettere nero su bianco che il pensionamento non vuol dire essere messi da parte, allontanati dalla società, anche se il vocabolario della burocrazia e del marketing ci fa passare dallo stato di “attivo” a quello di “inattivo”, termine infamante per chi, come me, si dà da fare senza sosta.
Non lasciamoci ingannare: andare in pensione è formidabile. Nella vita di un uomo o di una donna, è un momento privilegiato di libertà totale. Una vita scelta e non imposta, come invece sono state le nostre precedenti vite di adolescenti o di adulti “attivi”. Se devo credere ai sondaggi, il cinque per cento dei divorzi avviene tra ottuagenari, ma per alcuni questa voglia di libertà può spingersi anche oltre: vecchiette e vecchietti “indegni” che si abbandonano a un’avventura tardiva. Non c’è niente di strano. La pensione, periodo in cui tutto è possibile, è la porta aperta a ogni sfida, perfino alla più folle.
Noi abitanti occidentali del pianeta Terra viviamo, in questo inizio del terzo Millennio, un periodo eccezionale. Fino a non molto tempo fa, in Francia, a sessant’anni si era vecchi e si doveva dipendere dalla famiglia o dalla carità pubblica. Quelli che superavano questo limite nonavevano altra scelta che starsene accanto al caminetto,ravvivando le braci e i ricordi in attesa della decadenza edella fine. Ed erano fortunati se la malattia non trasformava il loro “riposo” in una lunga sofferenza e se la sorte si accontentava di infliggere loro quei doloretti che diventavano il centro dei loro discorsi. Oggi conosco cento “vecchi” o “vecchie” di sessant’anni capaci di allinearsi alla partenza di una maratona, di aiutare i propri nipotini a penetrare i misteri della geometria spaziale o di assaporare il genio di François Villon imparando a suonare il violoncello.
Quella della pensione è l’età d’oro. Ma anche l’ultima età. Il momento in cui si prende pienamente coscienza della propria fragilità, portatore al tempo stesso di vita attiva e di morte. Finiamola con la vecchia storia dell’“avvenire radioso della gioventù”, poiché, il più delle volte, la gioventù è incapace di proiettarsi nel futuro. Paradossalmente,è nel momento in cui il nostro futuro si restringe, si rattrappisce, che ne prendiamo pienamente coscienza. A ridosso del passato, si è più capaci di pensare al futuro, di progettare il futuro. Se i vecchi risultano capaci di immaginarlo, perché non possono contribuire a costruirlo?
Bernard Ollivier*
*Nato nel 1938 in Normandia. Giornalista professionista, dopo la pensione si scopre instancabile camminatore. I suoi libri, tradotti in molti Paesi, sono best seller in Francia. Nel 2000 ha fondato l’associazione di volontariato Seuil che si occupa del recupero di giovani in difficoltà usando il trekking come terapia.