Una direttiva in fumo. Quando discariche e inceneritori prevalgono sul riciclo
Tra le 29 procedure d’infrazione provenienti dalla Commissione Europea e collezionate dall’Italia – maglia rosa degli “evasori ambientali” europei – quella che chiama in causa la spinosa questione dell’Ilva di Taranto è solo l’ultima di una lunga serie. Nel palmares del nostro Paese un’altra situazione brilla per particolare gravità: la discarica di Malagrotta nel Lazio.
Per quanto riguarda i rifiuti conferiti, l’Italia venendo meno agli obblighi imposti dalla Direttiva del 1999 ha consentito il conferimento di rifiuti non trattati in questo sito. Le autorità italiane hanno dato ”un’interpretazione restrittiva del concetto di ‘sufficiente trattamento dei rifiuti’ riempiendo la discarica di Malagrotta a Roma e altre nel Lazio con rifiuti che non hanno subito il trattamento prescritto”. E proprio il 1 ottobre, giorno in cui si decide la chiusura della più grande discarica d’Europa, la procedura d’infrazione a carico dell’Italia approda davanti alla Corte di Giustizia Europea.
In attesa di capire come gestire il contenzioso, il post-Malagrotta prevede il progetto di un sito provvisorio (termine molto in voga nel nostro Paese, che non ama risolvere i problemi in via definitiva) a Falcognana, strenuamente osteggiato dai cittadini. Voci contrastanti arrivano circa la richiesta di autorizzazione per l’ampliamento e la trasformazione del sito in questa località, che il Commissario all’Ambiente Janez Potocnik sostiene di non avere mai ricevuto! Se le discariche dovrebbero essere considerate una opzione residuale ed emergenziale per la gestione dei rifiuti, l’iniziale compiacimento relativo alla chiusura di un sito a più di trent’anni dalla nascita lascia il posto alle perplessità nell’apprendere che la soluzione alternativa rischia di trasformarsi in qualcosa di simile.
Il macroscopico problema italiano relativo alla gestione dei rifiuti sembra comunque non essere del tutto isolato. Mal comune mezzo gaudio, potrebbe pensare qualcuno di italico ingegno. Sta di fatto che secondo la Commissione Europea oltre la metà degli Stati membri dell’UE potrebbe mancare gli obiettivi di riciclo stabiliti ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti. Partendo da quelli solidi urbani.
Il problema è sempre il medesimo: si tende a prediligere le discariche e l’incenerimento piuttosto che il riciclo. Il tema riemerge in occasione di una discussione relativa alla Consultazione sulla revisione degli obiettivi UE concernenti la materia. Con un occhio sempre rivolto verso l’eccellenza rappresentata dalla Svezia. Questo Paese, infatti, in 20 anni ha portato la percentuale dello smaltimento in discarica ad un residuale e pressoché irrilevante 0,7% dei rifiuti solidi urbani! Un traguardo raggiunto soprattutto grazie a due regole fondamentali: il divieto dell’organico e dei rifiuti combustibili in discarica.
L’Unione Europea, dal canto suo, si è impegnata, negli ultimi mesi, principalmente su due fronti: lo smaltimento della plastica e della carta. Sembra, comunque, che la materia sia difficile da maneggiare senza creare effetti controversi.
Il consumo di prodotti composti e fabbricati con la plastica aumenta del 5% ogni anno. È quindi arrivato il momento di guardare con attenzione a come la usiamo e a quello che facciamo quando la gettiamo. Per questo motivo, sette mesi fa, la Commissione Europea ha lanciato il Libro Verde sui rifiuti di plastica. L’esecutivo di Bruxelles, a dimostrazione di quanto sia importante la questione, ha ricevuto più di 270 pareri tra i quali 14 provenienti da Ministeri dell’Ambiente. In attesa del vaglio del Parlamento Europeo e delle analisi che l’esecutivo deve compiere su tutti i contributi pervenuti, il Commissario all’ambiente Janez Potocnik ha reso note alcune anticipazioni.
In primo luogo, fa Potocnik fa presente che la strategia europea deve muoversi verso un unico ed indiscutibile obiettivo: rendere l’utilizzo delle risorse efficiente sviluppando una economia circolare. Un sistema nel quale i rifiuti sono utilizzati come “materie prime seconde” e reimmessi nel circuito produttivo. Secondo una gestione gerarchica, con il più alto tasso possibile di prevenzione, riuso e riciclo, che riduca al minimo lo smaltimento in discarica. Le aziende, inoltre, devono essere incoraggiate alla progettazione di prodotti che possano facilmente rispondere a questi requisiti.
Se guardiamo oggi ai processi di produzione della plastica e di gestione dei rifiuti composti da questo materiale, è evidente che siamo molto lontani da questi obiettivi. Anche nei paesi più efficienti, i tassi di riciclo per la plastica sono piuttosto bassi. Nel 2012 solo il 24% è stato sottoposto ad efficienti procedimenti di smaltimento, mentre il 50% della plastica è andato in discarica e il resto è stato incenerito.
La sfida per il futuro si gioca quindi intorno a questo materiale, tanto celebrato quando micidiale per l’ambiente. Potocnik riassume quattro azioni fondamentali: la progettazione del prodotto deve concentrarsi sulla sua durata e i materiali tossici – come perturbatori endocrini e metalli pesanti – devono assolutamente scomparire dalla composizione; i costi reali di produzione della plastica dovrebbero essere internalizzati, con piena responsabilità per raccolta, riciclaggio ed informazione dei consumatori circa i rilevanti aspetti ambientali. Infine, questo materiale dovrà essere utilizzato in maniera più sostenibile, in modo tale da spezzare quel circolo che lo lega al concetto di “usa e getta”.
La consultazione ha mostrato inoltre come, cittadini e parti interessate desiderino che l’UE smetta di finanziare il conferimento in discarica incentivando la raccolta differenziata porta a porta combinata ad un sistema di “pay as you throw“, di tassazione, cioè proporzionale a quanti rifiuti si producono pro capite. Il tutto ben condito da norme più severe e controlli più rigorosi.
Diversamente critica la questione del riciclo della carta. La proposta della Commissione Europea sull’end-of-waste è stata infatti molto criticata. Mancherebbe solo il via libera del Parlamento per la definitiva approvazione del Regolamento che contiene i criteri per determinare quando la carta recuperata cessa di essere considerata un rifiuto, ma a questo documento si oppone con forza l’industria cartaria europea riunita in CEPI, la Federazione Europea delle Industrie Cartarie. Nella proposta, applicabile da gennaio 2014, si legge che l’end-of-waste scatta quando, nel momento di cessione da parte del produttore o di un altro detentore, sono soddisfatte alcune condizioni che riguardano la pericolosità dei rifiuti, la qualità della carta e i possibili trattamenti. Incluso anche il materiale multistrato contenente fino al 25% di materiali non cartacei.
Le cartiere europee si sentono minacciate da una nuova legislazione che, dicono, rischia di portare a una qualità inferiore della carta da macero e alla diminuzione degli alti livelli attuali di riciclo della carta. “Tutto questo è contro l’idea di una società basata sul riciclo efficiente delle risorse e contro la re-industrializzazione in Europa”, afferma Jori Ringman Direttore Riciclo e Ambiente di CEPI. Nel 2012 il 71,7% della carta utilizzata in Europa proveniva dal riciclo e la carta da macero è diventata la materia prima seconda più importante per l’industria europea, tanto che molto aziende ne sono totalmente dipendenti. Si riuscirà a conciliare le esigenze senza fare un passo indietro?
Beatrice Credi