Tribewanted, 12 euro al mese per creare una comunità sostenibile
“Il turismo di solito distrugge l’ambiente, il nostro obiettivo è invece quello di proteggere il paesaggio attraverso il turismo sostenibile”. Filippo Bozotti, 32 anni, è già alla sua seconda vita: nella prima ha preso una laurea in Finanza alla Boston University e ha lavorato negli Usa facendo documentari sociali. “Già allora mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per il turismo sostenibile”, racconta. L‘incontro con Ben Keene, nel 2009, ha fatto il resto: “Entrambi eravamo appena tornati negli Stati Uniti dalla Sierra Leone. Lui aveva fondato la rete Tribewanted e già avviato nel 2006 alle Fiji il primo progetto di comunità per il turismo sostenibile. Dopo poco ci siamo trasferiti in Sierra Leone per dare vita alla seconda comunità”.
Nello stesso anno Filippo è diventato socio di Tribewanted, che da network digitale si è poi trasformato anche in una cooperativa con oltre 10.000 soci. “Alla base c’è il concetto di ‘una testa un voto’. Ognuno paga 10 sterline al mese, circa 12 euro, per sviluppare dieci comunità di turismo sostenibile nel mondo. In questo modo, i soci acquisiscono un credito per passare una vacanza nelle comunità e partecipano alla decisione sui luoghi che ospiteranno i prossimi progetti. Ogni 1.000 nuovi membri fondiamo una nuova comunità”.
Il concetto di sostenibilità è applicato a 360 gradi: “Dal punto di vista economico, il ricavato dalle attività turistiche deve coprire almeno i costi di gestione. Il 100% delle entrate viene re-investito nelle nostre comunità. I villaggi devono essere sostenibili anche dal punto di vista sociale, offrendo per esempio ai dipendenti i servizi sanitari e garantendo l’inclusione. Misuriamo anche la loro felicità. Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, puntiamo sull’utilizzo di energia rinnovabile, sulla riduzione dei consumi idrici e energetici e dei rifiuti. Il cibo arriva il più possibile dai territori vicini ed è biologico e biodinamico”.
La prima esperienza è stata appunto quella di Vorovoro, nell’arcipelago dell’Oceano Pacifico. “Nacque con il crowdfunding, con 5.000 persone che pagarono 120 sterline a testa per la realizzazione di una comunità di turismo sostenibile. L’annuncio recitava ‘A tribe is wanted‘, così è nato il nome della rete”. Dopo l’incontro di Keene con il futuro socio, i due iniziano a lavorare al progetto africano: “Ci siamo trasferiti in Sierra Leone, a John Obey, nella penisola della capitale Freetown, e per prima cosa abbiamo cercato di capire se gli abitanti del villaggio di pescatori fossero d’accordo con il progetto. Abbiamo cercato di fare tutto con la loro partecipazione”. Oggi, a tre anni dall’apertura, “25 persone lavorano nel settore del turismo sostenibile. Siamo stati i primi a diffondere un’immagine positiva di questo Paese, di solito noto per i conflitti e le violazioni dei diritti umani”.
L’ultima comunità in ordine di tempo, Monestevole, si trova in Italia, a poche decine di chilometri da Perugia: “Volevamo dimostrare che è possibile vivere in modo sostenibile anche in un Paese sviluppato. Abbiamo scelto l’Umbria perché, oltre alla buona posizione, è ancora molto legata alle tradizioni del passato e poco toccata dal turismo di massa”. Un piccolo borgo del XV secolo, con 30 ettari di bosco e 47 di terreni coltivati. “Abbiamo fatto una partnership con i proprietari di Monestevole, che già gestivano l’agriturismo. Tribewanted è diventata socia al 50% del villaggio e ha messo le risorse per trasformarlo in una comunità sostenibile”.
La struttura è rimasta chiusa per un anno ed ha riaperto le porte agli ospiti il 21 marzo scorso. Oggi è quasi autosufficiente dal punto di vista energetico, “grazie ai pannelli fotovoltaici e a un impianto solare termico. Per il riscaldamento, utilizziamo il legname che deriva dalla gestione sostenibile del bosco, con stufe in terre crude ad alta efficienza. Stiamo costruendo un impianto eolico e vogliamo anche introdurre l’energia geotermica”. Nella fattoria “gli animali vivono allo stato brado e la terra è coltivata senza usare pesticidi o fertilizzanti chimici”.
Nelle esperienze di Tribewanted, è forte il legame con le realtà locali: “In Sierra Leone promuoviamo i cibi e le arti locali, insegniamo alle persone a pescare e riparare le reti. In Umbria lavoriamo con la cooperativa Panta Rei, con cui stiamo costruendo delle case in terra cruda e avviando progetti di formazione”. Il primo esperimento delle isole Fiji, concluso nel 2011, è servito anche per imparare dai propri errori: “Il villaggio è tornato completamente agli abitanti locali, perché al rinnovo del contratto di affitto dei terreni il governo ci ha chiesto una cifra per noi insostenibile. Per questo nel progetto africano abbiamo fatto un contratto di trent’anni”.
E la prossima comunità? “Il luogo lo decideranno i membri di Tribewanted. Mi piacerebbe che fosse in un’area urbana, per dimostrare che è possibile vivere con una minore impronta ambientale anche lì”. Tra le offerte più interessanti – ne arriva almeno una al giorno – c’è quella del Comune di Detroit, che sta riqualificando la città dopo lo smantellamento di molte industrie pesanti: “Ci ha messo a disposizione un terreno in centro chiedendoci di sviluppare un progetto di turismo sostenibile”.
Veronica Ulivieri