Tra campi di grano e fotovoltaico: la quarta settimana di Orlando
Continua il reportage di viaggio verso Santiago de Compostela di Orlando Manfredi: “fromOrlandotoSantiago“!
Per ora sono ancora di scena le infinite mesetas di Castilla, molto affascinanti alle prime luci dell’alba o al tramonto, o di notte, sotto il manto della via lattea, senza trascurare l’abbassamento sensibile della temperatura, altrimenti proibitiva. Quello che per alcuni è il tratto “noioso” del Cammino (campi di grano poi campi di grano poi campi di grano e, talvolta, terra arida e basta) è, del resto, quello dove ancora capita di trovarsi con pochi pellegrini nel raggio di chilometri, e di attraversare villaggi rurali, dove ancora non è così evidente la viandanza “facilitata” della postomodernità.
L’unico segno della mano dell’uomo è la fitta rete di centrali o pannelli fotovoltaici che in Castilla y Leon trovano davvero una terra d’elezione. In questo momento la temperatura sfiora una media di trenta gradi e non è un anno particolarmente caldo – pare. Il fotovoltaico è stato oggetto di una diffusione quasi virale fino al 2010. Poi gli incentivi sono stati sensibilmente ridotti – complice la crisi – e gli investitori non si sono trovati ancora nella condizione di poter essere autosufficienti. Quello che era un affare d’oro (un po’ all’italiana?) pare sia diventato una patata bollente.
Sul dorso scarno di questa terra rude hanno messo radici alcune realtà di accoglienza per i viandanti molto legate alla dimensione “essenziale” del pellegrinaggio. In queste oasi di minimalismo volontario, spesso non ci sono acqua calda, elettricità, burocrazia, a dispetto di un’accoglienza che è come un abbraccio tra pari e semplici (neanche immaginabile all’interno di strutture più grosse). Non sarà anche di questo che abbiamo bisogno, lontani dalle nostre vite affannate, parcellizzate, dimenticate?
Mi viene in mente una frase tanto semplice quanto bella che mi ha detto una sera a cena, a Burgos, Mick “Dundee“, come viene chiamato dai compagni di strada questo pellegrino di Birmingham, col cappello da Mr. Crocodile Dundee. “In questi anni mi sono accorto che la più bella parola del mondo è bienvenido”. Potrebbe bastare per descrivere quello che si percepisce nell’albergue privato di San Anton – all’interno di quel che resta dell’ex monastero omonimo del 1100, un posto di una bellezza commovente – non distante da Castrojeritz. Qui non si vende nulla (nel caso si accettano donazioni) e l’ospitalità è concessa unicamente a pellegrini e, in subordine, a ciclisti. L’hospitalero, colui che accoglie, informa e si mette a disposizione a titolo squisitamente volontario, deriva la sua funzione dall’antico “servizio” di cura e primo soccorso ai pellegrini, debilitati o resi infermi dalle fatiche del Cammino.
Vengo accolto da una giovane coppia spagnola, di cui tacerò i nomi, per la particolare “deontologia” hospitalera a rimanere in ombra, senza protagonismi. A loro volta già pellegrini, hanno deciso di continuare il cammino così, mettendo a disposizione esperienza e passione, regalando da hospitaleri quello che hanno ricevuto da pellegrini. Devono aver ricevuto cene squisite e abbondanti, stando alla fantastica abbuffata che hanno preparata per tutti e al piacere che sprizzano da tutti i pori nel saper “preparare” anche il nostro pasticcio di lingue e culture da tutto il mondo, riunite attorno a un desco.
La condizione del pellegrino è un partiolare esperimento di ecologia esistenziale. Si strappano letteralmente via le erbacce – tutte le componenti superflue o dannose, o usuranti del vivere quotidiano: velocità, stress, faccenducole, obblighi, responsabilità che non siano strettamente personali, costrizioni, aperitivi e tutti i possibili riti sociali coatti. Di contro, il pellegrino è sempre esposto alla concretezza della fatica e alle risposte alla fatica del corpo e della mente, alla permeabilità nei confronti dell’altro, al confronto con la felicità o la sofferenza altrui, ad un esercizio di ascolto privilegiato di se’, nel bene e nel male. Per questa particolare esposizione del se’ che il pellegrino mette in ogni suo passo, ogni gesto di reale accoglienza viene percepito come un dono impagabile, piovuto al momento giusto, dalla persona giusta, nel posto giusto.
Dopo l’Alto de Mostelareses (913 m, rara pendenza di questo tratto di Castilla y Leon), mi fermo per registrare una nuova canzone (“Will Machine“), scritta in inglese, per poter raffinare il meno possibile una verità cruda che, a volte, è meglio comunicare così com’è. Dunque scendo di nuovo in piano, allla ricerca di un nuovo rifugio. Nella rada bollente della meseta rimane piantata un’antica cappella con sagrestia del XIII secolo, talmente e sobria da sembrare un baita di campagna. Davanti alla facciata corta della costruzione cresce ordinato un piccolo orto e, nelle vicinanze, alberi da frutta e piante da giardino. Per qualche strano scherzo sensoriale mi vengono in mente le masserie salentine della Puglia, le necessità soddisfatte con poco, la tavola imbandita di vino, di piatti della terra e di rapporti umani. I giovani e i vecchi che si incontrano e si confondono.
Non appena esco da questo trip spaziotemporale, mi rendo conto di essere capitato in un albergue di proprietà della confraternita jacopea, il San Nicolàs di Puente Fitero, gestito da confratelli italiani, guarda caso. E pure qui son di rigore necessità soddisfatte con poco (acqua calda al lumicino, no elettricità, candele per la luce), la tavola imbandita di vino, di piatti della terra e di rapporti umani. Quando è così, ti metti a disposizione anche tu, anche se nessuno ti sta chiedendo niente, e ti metti a strappare erbacce, per renderti conto che, in fondo, non hai fatto altro, dall’inizio del tuo cammino.
Metti sei pellegrini ospiti del San Nicolas, metti tre hospitaleri magnifici, metti un prete missionario che ascolta Simon & Gurfunkel e non fa nulla per celare la sua banale umana normalità; metti una pratica della Fede che, in posti come questo, non può che scambiare rapporti intensi con la quotidianità. Insomma, senza tante investigazioni esplorative, mi viene chiesto di partecipare come musicista accompagnatore alla messa del San Nicolas, officiata dal padre missionario. Lui è speciale, com’è speciale questa cerimonia intima a beneficio di sei persone, con le parole dei vangeli che si fanno confidenziali. Canto quella canzone speciale che è “Halleluja” di Leonard Cohen. Poi la funzione deve andare per il suo verso e so che arriverà il momento in cui non riusciró a mettermi in bocca certe parole, non riusciró a ripetere lodi, non riuscirò a rendere Grazia, non riusciró. La verità è che non riesco a credere a nulla che non abbia un briciolo d’ironia.
C’è quella frase delle scritture che dice di ascoltare il Signore che bussa alla propria porta e di lasciarlo entrare. Io credo di essere sempre stato con l’orecchio teso ma che – per il momento – nulla, e di avere sempre pronto sulla punta della lingua un “no grazie, non aspetto nessuno.” Anche se non è vero.
Orlando Manfredi
- From Castojeritz to San Nicolas de Puente Fitero: km 9,1; steps: 21647; playwish: “Either way” by Wilco
- From Itero de la Vega to Fromista: km 14,3; steps: 34234; playwish: “La llorona” as sung by Fabrizio Cammarata
- From Fromista to Carion de los Condes: km 20; steps: 47920; playwish: “Sloop John B.” by Beach Boys, thinkin about Forrest Gump
- From Carion de los Condes to San Nicolas Real del Camino: km 31,8; steps: 76034; playwish: “Free ride” by Nick Drak
- From San Nicolas Real del Camino to El Burgo: km 26; steps: 60840; playwish “The older we get” by Hothouse Flowers.