Il rischio finanziario delle nuove centrali nucleari italiane
Con l’articolo di Nicola Misani, Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management & Technology dell’Università Bocconi, si chiude la serie 2010 degli interventi dei docenti del Master MEMAE su Greenews.info.
Lo scorso 5 novembre il governo italiano ha approvato la bozza del Programma Nazionale di Riforma, in cui individua le direttrici dello sviluppo economico del paese, da qui al 2020. Il capitolo del documento sull’energia nucleare era fra i più attesi, dopo la recente nomina dei componenti dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, che avrà il compito di individuare i siti delle nuove centrali. Dal Programma si attendevano le prime indicazioni sulle regole e i finanziamenti del sistema nucleare italiano, cui il governo affida le speranze di ridurre la bolletta energetica delle imprese e delle famiglie, più alta del 20-30% rispetto a concorrenti come la Francia e la Germania.
In realtà, diversi studi indicano che i costi di generazione elettrica delle centrali di nuova costruzione possono essere più alti di quelli degli impianti a tecnologie fossili e, in prospettiva, delle fonti rinnovabili come l’eolico o il solare. Se è vero che il nucleare sfrutta una fonte relativamente abbondante e a basso costo come l’uranio, è altrettanto vero che i costi di costruzione degli impianti nucleari sono enormi (nell’ordine dei miliardi di euro) e devono essere recuperati nei prezzi di vendita dell’energia. Inoltre, i tempi di costruzione di questi impianti superano spesso i 5 anni, durante i quali l’impresa elettrica deve ricorrere a finanziamenti esterni per coprire l’investimento.
Il costo di tali finanziamenti (costo del capitale) è determinante per il costo finale dell’energia generata dagli impianti nucleari. Molte stime ottimistiche sulla convenienza economica del nucleare sembrano nascere da una sottovalutazione del costo del capitale delle centrali, che per esempio la NEA, l’Agenzia per l’Energia Nucleare dell’OCSE, colloca fra il 5% (con un corrispondente costo finale di 58,5 $ per MWh per l’energia nucleare, inferiore ai costi attuali dell’energia da gas naturale o carbone) e il 10% (con un costo corrispondente di 98,7 $ per MWh, superiore ai costi delle tecnologie rivali).
In una prospettiva di gestione finanziaria di impresa, molte ragioni portano a ritenere che il costo del capitale di una centrale nucleare non possa essere inferiore al 10%. A titolo di paragone, il costo del capitale applicato dagli analisti di Borsa agli impianti di generazione elettrica italiani di ENEL, già operanti e basati su tecnologie tradizionali, è circa il 7%. Alle centrali nucleari di nuova costruzione occorre aggiungere un ulteriore premio al rischio, per tenere conto di tre pericoli:
1) I costi di costruzione possono aumentare in corso d’opera. Un esempio è l’impianto di Olkiluoto (Finlandia), commissionato ad Areva, il produttore francese di reattori che fornirà le tecnologie anche per le centrali italiane: dai 3 miliardi di costo previsti a inizio progetto si è saliti ai circa 6 attuali. Un altro impianto in costruzione in Bulgaria sulle rive del Danubio ha visto salire i costi da meno di 4 a più di 9 miliardi di euro (fonti).
2) I tempi di costruzione possono sforare il piano originario, ritardando l’ora in cui l’impianto comincerà a vendere energia e a fornire i flussi di cassa occorrenti per ripagare il debito. Di nuovo, la storia recente del nucleare è scoraggiante, se si pensa che l’impianto di Olkiluoto, iniziato nel 2005 e di cui era prevista la consegna nel 2009, secondo le ultime previsioni non sarà completato prima del 2013.
3) I prezzi dei combustibili fossili possono scendere, causando una fuga della clientela elettrica verso le fonti tradizionali; questo pericolo è concreto, dato che i prezzi del petrolio e del gas naturale sono molto sensibili al ciclo economico (e quindi alla domanda energetica) e sono esposti a eccessi di offerta in caso di scoperta di nuovi giacimenti o di innovazioni nello sfruttamento dei giacimenti esistenti.
Non esistono stime di mercato del premio al rischio per il nucleare, dato che in tutti i paesi con programmi nucleari le imprese elettriche beneficiano di qualche tipo di sostegno pubblico, che va ad alterare le condizioni di accesso al mercato finanziario privato. Negli Stati Uniti il governo fornisce una garanzia pubblica ai prestiti privati per gli impianti, con cui si assume il rischio di default dell’impresa elettrica contro il pagamento di una fee, il calcolo della quale è affidato al Management and Budget Office (l’equivalente americano della nostra Ragioneria di Stato). L’entità della fee è spesso fonte di controversie. Nello scorso ottobre Constellation Energy ha rinunciato a costruire un nuovo impianto nucleare nel Maryland (il partner tecnico era Areva) dopo che il governo ha chiesto una fee di 880 milioni di dollari per garantire un finanziamento di 7,6 miliardi di dollari (per un costo percentuale di 11,6%). Il Nuclear Energy Institute (l’organo che rappresenta l’industria nucleare americana) ha sostenuto che la fee sopravvalutava il rischio dell’impianto, ma è un fatto che nessun finanziatore privato si è fatto avanti per offrire la garanzia a costi inferiori.
Cosa propone il Programma Nazionale di Riforma per assicurare i necessari finanziamenti alle future centrali nucleari italiane? Il documento sembra puntare su una prospettiva irrealistica in cui saranno i clienti stessi, attratti dai presunti bassi costi dell’energia nucleare, a caricarsi del rischio finanziario del fornitore elettrico:
«La “rigidità” della produzione degli impianti nucleari favorisce il collocamento dei volumi prodotti a mezzo di contratti a termine, compatibili con i mercati dell’energia, in cui l’orizzonte temporale di fornitura copre sicuramente i fabbisogni del cliente di un anno e anche più anni [...]. Dalla combinazione dei diversi profili di rischio accettabili dal produttore elettronucleare e dal consumatore di energia elettrica – di fatto il c.d. rischio mercato futuro – può scaturire una “copertura reciproca” di parte dei rischi, configurando una vera e propria opportunità di entrare in un contratto di fornitura di medio termine (merchant clients) [...]. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas sta sviluppando la regolazione e la potrà definire nel corso del biennio 2011-2012, in modo da poter consentire una contrattualizzazione di medio-lungo termine adeguata per il sostegno degli impianti ad alti costi fissi come quelli elettronucleari» (paragrafo 3.1.4.).
Più oltre il documento ipotizza il coinvolgimento di piccoli clienti, compresi quelli domestici:
«Tali formule potranno prevedere il concorso della cosiddetta “domanda organizzata”, con la partecipazione di grandi consumatori energivori o loro consorzi, di aggregazioni di piccole e medie imprese sino a raggruppamenti di clienti domestici».
Questa soluzione è irrealistica perché i clienti liberi (merchant) non hanno interesse a legarsi le mani con contratti pluriennali a prezzi bloccati che impedirebbero loro di approfittare di ribassi dell’energia da combustibili fossili. Il caso di Constellation Energy è di nuovo istruttivo, perché il governo americano si è offerto di fissare una fee molto più bassa qualora Baltimore Gas & Electric, un distributore elettrico di proprietà di Constellation Energy, avesse firmato un contratto pluriennale di acquisto dell’energia dell’impianto del Maryland a prezzo prestabilito, il tipo di soluzione immaginata nel nostro Programma Nazionale di Riforma. Constellation Energy ha preferito rinunciare all’impianto piuttosto che caricare sulla sua sussidiaria l’onere di questo contratto…
Dubbi sulla disponibilità degli acquirenti di energia nucleare a impegnarsi in contratti vincolanti emergono nello stesso Programma Nazionale di Riforma, che a un certo punto accenna a coperture pubbliche dei costi dei produttori nucleari in assenza di domanda da parte della clientela privata:
«Nel contempo, per assicurare la stabilità economico-finanziaria dell’investimento, si devono altresì prevedere schemi di uscita soft dei diversi consumatori [...], con il subentro automatico di garanzie di “ultima istanza” eventualmente socializzate, realizzando quindi una forma di garanzia privato-pubblica».
Qui l’aggettivo chiave è “socializzate”, che implica il trasferimento dei costi del nucleare sulle bollette o sulla fiscalità generale nello scenario – non improbabile- in cui le centrali, a causa di problemi di costruzione, dell’andamento dei prezzi dei combustibili fossili o di altri oneri connessi alla gestione delle scorie e della sicurezza, si rivelassero anti-economiche.
Nicola Misani
Nicola Misani è Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management & Technology dell’Università Bocconi e docente del Master MEMAE. Le sue pubblicazioni coprono i temi della gestione di impresa, della responsabilità sociale e del risk management. Cura un blog chiamato La teiera.