Società Botanica Italiana: 130 anni a difesa della biodiversità
Più di 130 anni dalla parte delle piante, della biodiversità, dell’ambiente e della natura. La Società Botanica Italiana Onlus è nata ufficialmente nel 1888, ma le sue origini sono ancora più lontane nel tempo: bisogna risalire al 1716, quando lo studioso Pier Antonio Micheli diede vita alla Società Botanica Fiorentina.
Un’istituzione che ha fatto la storia della botanica mondiale e che, ancora oggi (viva e…vegeta), contribuisce alla conoscenza scientifica del vasto mondo vegetale. Merito della miriade di attività portate avanti dai botanici italiani: conferenze, presentazione di libri, attività culturali, animazione negli orti botanici cittadini e, soprattutto, tante ricerche. Utilissime per preservare non solo la biodiversità nazionale, ma indirettamente anche l’economia e la qualità della vita degli italiani.
A spiegare, in modo semplice e chiaro, la “mission” della società plurisecolare è la presidentessa Consolata Siniscalco che oltre a dirigere l’associazione è docente di Botanica Applicata all’Università di Torino. “Il Ministero dell’Ambiente ci affida le ricerche che si differenziano in tre temi principali: sulle piante rare, sulle piante esotiche invasive e sul paesaggio vegetale – ci spiega – che sono necessarie anche per la valutazione dello stato di salute dell’ambiente“.
La docente universitaria cita il caso – divenuto mediaticamente famoso lo scorso anno – delle acque torinesi invase dalla “Myriophyllum aquaticum, originaria del Sud America e che ha creato non pochi problemi alla biodiversità del nostro ambiente”. Il messaggio è: c’è da stare attenti anche all’uomo, visti i cambiamenti, spesso disastrosi, provocati nel paesaggio vegetale…
Quello della Società Botanica è dunque un osservatorio privilegiato per capire le criticità delle nostre piante, in particolare quelle rare che corrono il rischio di estinzione. “L’entità del fenomeno dipende dalle parti di territorio che si studiano. Nelle Alpi non sono a rischio, così come nelle zone collinari, dove aumentano i boschi e la naturalità”, ma la situazione, dice, “è allarmante in pianura e sulle coste a causa delle attività agricole intensive e di quelle turistiche”. Ad esempio: la Isoetes malinverniana “endemica di Piemonte e Lombardia - avverte Siniscalco – è a rischio di estinzione. Si trova infatti nei canali delle risaie, dove si fanno lavori invasivi con le ruspe“.
L’irresistibile volontà di consumare suolo dell’uomo è sempre più visibile sulle coste per via della pressione antropica generata dal turismo e dal desiderio di vivere vicino al mare. Non solo i litorali con abbondanza di cemento, ma anche quelli più selvatici e naturali, come la Sardegna stanno patendo l’assalto ai fiori rari. “Nell’isola i botanici dell’Università di Cagliari coordinano un progetto Life, prende il nome di Res Maris, per la protezione delle specie autoctone attraverso la difesa delle dune, per evitare che ci passino le auto o i quad”, racconta la presidentessa, che ricorda come siano state installate anche passerelle in legno per evitare che i turisti calpestino le specie più preziose. Quanto siano pericolose l’indifferenza e l’inciviltà per queste piante lo testimoniano bene, del resto, episodi come quello dei giorni scorsi, sempre in Sardegna, quando alcuni turisti incuranti si sono messi a raccogliere, in una spiaggia della costa orientale, i “Gigli di Mare”, preziosi per l’ecosistema dunale, e sono stati quasi “linciati” dagli abitanti del posto.
C’è dunque tanto da fare per preservare il nostro ricco patrimonio botanico. Ad iniziare dalla Pianura Padana, “una delle più antropizzate d’Europa, dove le specie rare sono sicuramente a rischio”, e in tutti quei contesti ad alta concentrazione di attività economiche: “oltre al controllo puntiamo a migliorare l’esistente. Il botanico aiuta a conservare la biodiversità e preservare i pochi boschi rimasti nella Pianura Padana”.
Bisogna coltivare l’ottimismo e puntare sulla diffusione delle conoscenze. “Noi lo facciamo con tante attività culturali e in particolare negli orti botanici. In quello di Torino, per esempio, accogliamo più di 200 scolaresche e agli studenti spieghiamo i vantaggi delle piante e il loro prezioso ruolo negli equilibri ambientali”. Ma la botanica si fa nelle scuole italiane? “Poca alle elementari, medie e superiori. Si potrebbero dedicare più ore, un insegnamento da valutare come strumento di conoscenza dell’ambiente. Le piante sono alla base di ogni catena alimentare. Naturalmente è una materia che bisogna saper proporre nel modo giusto”. A maggior ragione oggi che l’intero Pianeta è minacciato da un’altra emergenza: i cambiamenti climatici: “Cerchiamo di capire, attraverso la fenologia, le fioriture e quando si avrà la fruttificazione, in relazione al clima. Monitoriamo e studiamo il fenomeno con grande attenzione”, conclude la Prof.ssa Siniscalco.
Gian Basilio Nieddu