Sextantio: il lusso dell’imperfezione nell’albergo diffuso di Daniele Kihlgren
Non ne scriviamo solo perché ha dato vita ad un albergo diffuso in un borgo antico e diroccato. Non ne scriviamo nemmeno solo per aver insufflato vita in un manipolo di case abbandonate dai suoi abitanti (con un flusso ininterrotto dal secondo dopoguerra del secolo scorso). E ancora, non ne scriviamo solo per aver creato lavoro e aver resuscitato muri che grazie al turismo potranno stare in piedi per altri secoli o millenni. Tutto questo basterebbe ampiamente a meritarsi una puntata di “Campioni d’Italia“, ma di Daniele Kihlgren – italianissimo anche se di padre svedese (ma spiccica solo poche parole nella lingua paterna) – ne scriviamo, soprattutto, per altri due motivi: ha puntato sulla sostenibilità economica dimostrando concretamente la possibilità di produrre ricchezza nel rispetto dell’ambiente e della cultura locale; e, secondo motivo, ha realizzato un restauro conservativo che non elimina l’imperfezione - al contrario, la esalta perché è il frutto di quella storia particolare ed originale che si vuole conservare. E così non si falsifica l’originale.
Se volete prenotare a Sextantio – dentro il borgo medioevale di S. Stefano di Sessanio a 1.250 metri di altezza sulle montagne d’Abruzzo – non immaginatevi il lusso tradizionale delle camere d’hotel splendenti che puzzano di formaldeide. Le camere dell’albergo sono parche, di un minimalismo antico e raffinato, ricordano quei film in bianco e nero sul medioevo, e tra i servizi non troverete il frigobar ma l’antica libreria con vecchi libri sulla storia d’Abruzzo. Questo nella “Camera sul Campanile” mentre la “Stalla” è una “suggestiva camera dall’atmosfera soffusa che ricorda vagamente l’ambiente severo e spartano delle celle monacali, ma allo stesso tempo calda ed accogliente”.
Non aspettatevi quindi la solare bellezza rinascimentale, sottolinea Daniele – cinquantenne con l’aria da ragazzino – che ci racconta il “miracolo” di un’architettura che riporta in vita e tramanda un tempo andato: “Girando l’Italia, si scoprono questi patrimoni storici lontani dai fasti della classicità, tutelati dalla loro stessa storia di marginalità: sono luoghi fuoriusciti dalla storia e salvati dall’emigrazione, che ha permesso l’integrità del paesaggio“. Sembra paradossale, ma l’analisi è lucidissima: “Non è il palazzo del Rinascimento o il Tempio Greco, è una bellezza di pancia e questi luoghi si sono conservati non grazie alla volontà politica, ma all’abbandono“. Il boom economico del dopoguerra, in sostanza, a Santo Stefano e in altri borghi dimenticati, non si è visto tenendo così alla larga blocchetti e cemento delle case del dopoguerra. Per fortuna nessun nano in giardino…
L’opera di Daniele si basa sulla inedificabilità, che significa anche ” evitare l’omogenizzazione”, ovvero come ripete lui stesso: “rispettare l’esistente, usare solo materiali locali, non costruire nulla, non aggiungere nulla, non cambiare nulla, non aumentare le cubature, non modificare gli arredi, al massimo riparare e adattare“. Questo per l’aspetto materiale e fisico, ma il successo di Sextantio (impresa iniziata a fine anni ’90), è “il progetto culturale, la dimensione sociale. Oggi ci sono 21 strutture di accoglienza, non costruite ma frutto della ristrutturazione; poi sono rinate le botteghe. Si è recuperata un’economia del luogo“.
Daniele sapeva bene che non basta una spruzzata di polvere di storia per recuperare la memoria storica, il lavoro è più complesso: “Noi siamo partiti con antropologi che hanno intervistato gli anziani per ricostruire cibi e ricette che si usavano un tempo. Lo stesso approccio applicato nella ricerca sull’artigianato artistico, sui colori e sui materiali”. Daniele ha vinto anche perché ha riconosciuto i suoi punti deboli: non avere tutte le competenze utili per amministrare un’azienda: “Non ho capacità e formazione in ambito amministrativo, ma ho trovato un gruppo industriale che mi ha cambiato i numeri aziendali e siamo passati finalmente in attivo”. L’economia, a volte, è un ottimo strumento per la tutela ambientale.
“Io non l’ho fatto per i soldi, ma il progetto se è replicabile lo devi dire e dimostrare con i numeri“. La sostenibilità economica che non vive di soli sogni, anche se, rivendica Daniele, se ne deve necessariamente alimentare: “questi risultati sono arrivati grazie ai miei sogni“. In altri termini la passione, seppure non sia sufficiente, è fondamentale.
“Bisogna combattere la tendenza alla sterilizzazione e all’omologazione nel recupero architettonico. Preservare la stratificazione dell’evoluzione del vissuto degli abitanti. Abbiamo lasciato i muri neri, non utilizziamo materiali nuovi ma di recupero“. Non ha senso lucidare i sassi medioevali e i clienti lo capiscono: “Possiamo vantare un tasso di occupazione delle stanze doppio rispetto ai concorrenti, a Santo Stefano siamo l’unica grande struttura”.
E così è nata anche la “struttura di Matera” ovvero le “Grotte delle Civita“, un Sasso che negli anni del meridionalismo militante era la vergogna. Un deficit di sviluppo diventato, anche qui, opportunità attuale di sviluppo sostenibile. Prenotare una suite in una “grotta” di Daniele può costare caro perché pullulano le prenotazioni dell’intellighenzia: a Santo Stefano hanno soggiornato tanti bei nomi del jet set internazionale. “Ma su Matera - confessa Daniele - ho paura del riconoscimento di Capitale della Cultura Europea del 2019 perché arrivano soldi, quindi costruzioni. Ho paura che si sterilizzino le sue particolarità”. La mania degli eventi può portare alla plastificazione e ibernazione di luoghi che, come ama Daniele, per restare sé stessi devono fare il pieno di imprecisioni.
Gian Basilio Nieddu