Roberto Herlitzka: “Dove passava la troupe non cresceva più l’erba”
Nella sua carriera è passato attraverso teatro e cinema, cortometraggi e fiction, Shakespeare e Goldoni. Ha interpretato ruoli drammatici, come ad esempio Aldo Moro nel film «Buongiorno, notte» che gli è valso il David di Donatello come miglior attore non protagonista, e ruoli comici, come nella sit-com Boris. Ma mai Roberto Herlitzka era entrato nei panni di un insegnante, come nel film «Il rosso e il blu», diretto da Marco Piccioni, da poco uscito nelle sale italiane.
D) Che cosa l’ha convinta ad accettare il ruolo?
R) Ho trovato molto interessante la sceneggiatura, ricca di finezze, capace di alternare numerosi registri, dal drammatico al comico: ho poi incontrato il regista e ci siamo piaciuti. È stato molto piacevole lavorare con Margherita Buy e Riccardo Scamarcio, due bravissimi artisti e persone speciali, e con tutti i ragazzi che Piccioni e i suoi assistenti hanno selezionato in diverse scuole per formare la classe che si vede nel film: sono straordinari per naturalezza e simpatia. La lavorazione della pellicola è stata felice e così mi pare, dai primi riscontri che abbiamo avuto, sia anche il risultato.
D) Che quadro della scuola emerge dal film?
R) Viene fuori un’immagine non troppo edulcorata, che rende conto dei difetti e dei problemi, soprattutto dello scarso sostegno che riceve. Ma questi temi sono trattati in modo ironico, attraverso accenni, non è un film politico di denuncia. All’inizio, ad esempio, succede che la preside, Margherita Buy, entri a scuola con la carta igienica e la metta nei bagni, e questo rende conto del fatto che i direttori scolastici debbano sopperire con mezzi propri laddove difettano risorse e organizzazione.
D) Che impressione si è fatto di alcuni stereotipi sui giovani, ad esempio che non leggono libri?
R) Purtroppo, spesso finisce per essere così. Passano molto tempo su internet ma leggono poco, non si interessano di quanto accade intorno a loro, sono impoveriti: adesso tutto ciò che vuoi sapere è a portata di click, sul computer, sul telefonino. Sono a rischio di grande degrado perché le menti se non vengono esercitate, deperiscono.
D) Lei ha anche frequentato la televisione, penso in particolare alla fiction Boris…
R) Televisione in realtà ne ho vissuta meno, ma perché non mi hanno chiamato. Dal punto di vista attoriale ricorda il cinema, eccetto il fatto che si gira più in fretta, con meno risorse. Poi mi sono divertito moltissimo nelle riprese di Boris, che racconta in chiave umoristica la vita sui set: è un ritratto fedele, ma parodistico, di quella che è la nostra professione e anzi ho portato un po’ della mia esperienza per condire qualche scena con trovate divertenti.
D) Qual è il suo rapporto con la natura? È una fonte di ispirazione per il suo lavoro?
R) La natura non può non essere presente, soprattutto quando si scrive un testo di valore poetico e letterario, basti pensare a Shakespeare o ad altri autori classici. Il teatro è però un luogo chiuso dove non si vede il sole e quando si cita la natura è attraverso il ricordo, la speranza ma mai attraverso la presenza.
D) Il tema della sostenibilità ambientale è presente sui set?
R) Sicuramente l’impatto ambientale delle produzioni è più limitato rispetto a qualche tempo fa, ma credo sia soprattutto indice di buon senso e di educazione. Una volta dove passava una troupe “non cresceva più l’erba”, sui set venivano abbandonati materiali usati, scarti di lavorazione, rifiuti: adesso questo non accade più.
D) Lei vive a Roma, le piacerebbe abitare in campagna, nel verde?
R) Sono un uomo da città, gli spazi aperti mi entusiasmano come episodio, la natura mi affascina e, allo stesso tempo, mi spaventa. Per esempio l’immagine dell’Africa è talmente grandiosa, uno spettacolo meraviglioso che ci sovrasta, che se ci andassi avrei paura di non riuscire a ritornare. E poi le bellezze costruite dagli uomini un tempo si inserivano perfettamente nel territorio e non prendersene cura vuol dire danneggiare la natura.
D) Per certi versi, Roma ne è un esempio…
R) Roma è la più bella città del mondo ma è maltrattata. Gli uomini che trascurano le proprie opere sono gli stessi che fanno del male alla natura. Personalmente, trovo che l’invasione delle pale eoliche sia uno sfregio totale alla bellezza di certi paesaggi: le colline umbre, pugliesi o toscane, ricoperte di questi strani esseri diventano quasi paesaggi da film di fantascienza. Ammetto che siano ecologicamente utili, ma non si trova un modo per risparmiare questa sofferenza agli occhi e alla mente?
Marco Bobbio