Rinnovabili per il 2020, Italia in ritardo
Come l’ultima della classe, come un’alunna negligente, l’Italia è in fondo alla classifica in Europa nella corsa delle rinnovabili per il 2020. Lo conferma la recente analisi dell’Ewea (European and Energy Association), la lobby dell’energia eolica nel Vecchio Continente, che ha visionato i Piani d’Azione nazionali presentati dai 27 a Bruxelles alcuni mesi fa.
I numeri non consolano, poiché emerge che l’Europa riuscirà a superare di pochissimo l’obiettivo del 20% di consumi da fonti di energia rinnovabile. Ma il 20,7% è la percentuale degli Stati membri nel loro complesso, mentre il 16, anziché il 17%, di rinnovabili è la percentuale dell’Italia. L’unico Paese, insieme al Lussemburgo, che rimarrà sotto la soglia indicata dalla Commissione costringendo il nostro governo a importare energia verde dall’estero.
Bulgaria (+2,8% rispetto all’obiettivo ) e Spagna (+2,7%) tra i Paesi più virtuosi, seguiti da 13 Stati. Tra dieci anni, prosegue l’Ewea, l’Europa soddisferà oltre un terzo (34%) della domanda elettrica grazie alle rinnovabili. L’eolico sarà al primo posto, generando il 14% di tutta l’elettricità richiesta dai 27, pari a quasi 500 TWh da 213 Gw di potenza installata. L’Irlanda sarà in cima alla classifica, con il 36% dei consumi garantiti dalle turbine eoliche, davanti alla Danimarca con il 31 per cento.
L’idroelettrico soddisferà invece il 10,5% della richiesta di energia elettrica nel 2020, seguito in terza posizione dalle biomasse (6,6%) e poi dal fotovoltaico (2,4%). Minori i contributi del solare termodinamico, della geotermia e dell’energia marina (onde e maree), nonostante alcuni promettenti sviluppi in alcune aree come la Scozia.
Il Commissario Ue per l’energia Gunther Oettinger, aveva già espresso preoccupazioni, denunciando soprattutto l’inadeguatezza dei Piani d’azione nazionali, non vincolanti e diversi da uno Stato all’altro. E invece, nel nostro Paese, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas pare concentrarsi su altri aspetti di dubbia interpretazione segnalando che “per le bollette degli italiani si profila il rischio di una stangata rinnovabili per effetto di un sistema di incentivi, fra i più profittevoli al mondo. Dai 2,5 miliardi di euro del 2009 si è passati ai 3,4 del 2010 e nel 2011 potrebbe arrivare fino a 5,7 miliardi di euro”. Ancora secondo l’Autority: “Dal 2001 ad oggi, gli italiani hanno pagato oltre 23 miliardi di euro in bolletta. Ad appesantire le future bollette, vi è poi il possibile raddoppio dei costi a 1,6 milioni di euro legati all’eccesso di offerta di certificati verdi ed alla crescita esponenziale degli incentivi al fotovoltaico, (aumentati da 300 milioni di euro del 2009 a 826 milioni nel 2010) e l’eventualità di triplicare nel 2011”.
Il documento dell’Authority ha generato la dura reazione di Greenpeace e del Wwf che hanno denunciato come “l’Autorità per l’Energia con queste dichiarazioni abbia attaccato gli incentivi alle rinnovabili per favorire il nucleare, quando per anni i soldi sono andati per la maggior parte alle cosiddette “assimilate”, cioè ai combustibili fossili e inceneritori”. “L’opinione dell’Autorità – si legge in un recente comunicato del Wwf – che concentra i suoi sforzi per ridurre la bolletta sulle rinnovabili è contraddetta anche in sede europea, in particolare dalla Comunicazione della Commissione europea “Renewable Energy: Progressing towards the 2020 target”, dove – nel quadro dei suggerimenti per garantire il conseguimento degli obiettivi al 2020 – a proposito dei costi delle incentivazioni testualmente si afferma che “è essenziale che tali costi siano fuori bilancio, cioè sopportati dai consumatori di energia piuttosto che dalla fiscalità, in modo da evitare le tipiche interruzioni “stop-start” ogni qual volta i bilanci degli stati diventano più vincolati”.
E’ evidente infatti che in tempi di magra, legare gli incentivi delle rinnovabili, cioè dell’economia del futuro, alla bolletta, garantisca dai continui tagli di bilancio, che hanno già rischiato di cancellare la defiscalizzazione del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Il ministro Romani non pare tuttavia sensibile a questa lettura del problema.
Francesca Fradelloni