Revet: come sottrarre le plastiche meno nobili al termovalorizzatore
Germania 0, Italia 1. Nella complicata partita del riciclo, in cui il nostro Paese di solito figura sempre in coda rispetto ai paesi nordici, un gruppo di aziende toscane, capitanate da Revet, ha segnato un gol. Il progetto in questione si chiama appunto Ri-prodotti in Toscana, e sta permettendo di utilizzare, per la realizzazione di vari prodotti, quelle plastiche eterogenee normalmente avviate al termovalorizzatore. Anche in Germania, dove non vengono neanche raccolta in modo differenziato.
Ma facciamo un passo indietro. Revet è un’azienda specializzata nella raccolta, selezione e trattamento di materiali destinati al riciclaggio, che opera soprattutto in Toscana (219 le amministrazioni servite, 80% della popolazione). Nei suoi impianti si selezionano vetro, plastica, barattoli di ferro, lattine in alluminio, imballaggi in tetrapak, che poi vengono avviati al riciclo attraverso i diversi consorzi. La sede è a Pontedera (Pisa), la città della Piaggio.
L’idea di provare a riciclare anche quella plastica meno nobile (vaschette di polistirolo, sacchetti ecc), denominata plasmix, a Revet è venuta nel 2009. Di solito, infatti, vengono solo riciclate bottiglie e flaconi, che sono fatti in materiale nobile, tipo PET e HDPE. «Tutta la plastica meno nobile che raccoglievamo e davamo a Corepla, veniva destinata alla termovalorizzazione. Parliamo di una percentuale significativa sul totale della plastica raccolta, circa il 56%», spiega il presidente di Revet Valerio Caramassi. Con il progetto Ri-prodotti in Toscana, oltre a evitare le emissioni legate alla combustione, «si eliminano dunque anche quelle per il trasporto, perché queste plastiche venivano portate agli impianti del Nord Italia, o addirittura in Austria».
La svolta c’è stata quasi tre anni fa. «Abbiamo iniziato a cercare aziende del territorio che producevano prodotti in plastica vergine e che fossero disposte a fare ricerca insieme a noi per capire come riutilizzare una percentuale di plasmix nei loro prodotti». L’investimento in ricerca è stato cospicuo, oltre 1 milione di euro in tre anni: «Revet e la Regione Toscana hanno messo mezzo milione a testa, a cui si aggiungono alcune centinaia di migliaia di euro stanziati da Corepla». Nel progetto sono stati coinvolti enti e consorzi di ricerca, come l’Università di Pisa, Pont-Lab e Pon-Tech. E così, una dopo l’altra, sono nate partnership innovative.
All’inizio del 2010, la Utilplastic, azienda del distretto della plastica vicino a Pistoia, ha lanciato la linea Utilgreen: cesti, scope, vasi, fioriere prodotti con una percentuale di plasmix in media del 50%. «Con Revet, ci siamo trovati. Loro stavano cercando aziende disposte a usare il plasmix e noi volevamo fare qualcosa nel settore del riciclaggio», racconta il titolare di Utilplastic Stefano Desideri. Oggi i prodotti Utilgreen, distribuiti in collaborazione con Unicoop, si trovano nei supermercati e ipermercati Coop di Lazio, Toscana e Campania (per ora solo ad Avellino), «ma ci stiamo impegnando per allargare la nostra rete di vendita. Stiamo anche studiando nuovi prodotti per ampliare la gamma».
Al richiamo di Revet ha risposto anche l’azienda di casa, la Piaggio. Con il plasmix, oggi vengono prodotte gran parte delle componenti plastiche degli scooter MP3 (quello con tre ruote), Liberty e Vespa. La casa motociclistica utilizza circa il 30-40% di plastiche eterogenee per realizzare sottoscocca, bauletti, contro scudi, pedane e altri pezzi, che alla fine si sono dimostrati di qualità migliore rispetto a quelli prodotti solo con plastiche vergini.
Shelbox, impresa della provincia di Firenze che produce case mobili, usa il plasmix per realizzare le persiane delle abitazioni prefabbricate. Segis (Siena) utilizza le plastiche eterogenee per realizzare arredi da esterni, mentre la Urbantech (Pisa), che produce barriere antirumore, sta lavorando a dei pannelli fonoassorbenti con una percentuale di plasmix che Sat, la società che gestisce l’autostrada tirrenica, potrà utilizzare nei tratti di sua competenza. «Con altre aziende abbiamo dei contatti già avviati, e siamo in fasi diverse», spiega Caramassi, che sottolinea come non sia sempre facile trovare imprese disposte a investire nei materiali riciclati: «Per la combustione dei rifiuti, equiparata a energia rinnovabile, ci sono degli incentivi, che però mancano per il riciclaggio. Quando contattiamo le imprese, la prima cosa che ci chiedono è quanto si risparmia con il progetto. È un problema di strategia e di politica industriale: in Germania e in Austria esistono dei contributi per le aziende che riciclano, e c’è anche una direttiva europea che vede nei giacimenti urbani il primo veicolo di approvvigionamento di materie prima per il futuro. Se per il riciclo si spendesse la metà di quello che serve per incentivare la combustione dei rifiuti, il settore decollerebbe».
Veronica Ulivieri