Quando lo Stato è “evasore ambientale”: l’Italia colleziona 29 procedure d’infrazione
Le voci dei giorni scorsi hanno trovato conferma. La Commissione Europea ha aperto una nuova procedura di infrazione contro l’Italia per l’Ilva di Taranto. A poco è servito il tentativo del Belpaese di inviare documentazione aggiuntiva per evitare l’estremo provvedimento. L’Esecutivo di Bruxelles ritiene, infatti, che Roma sia inadempiente sulla norma per la responsabilità ambientale e per il principio “chi inquina paga“, non garantendo che l’Ilva rispetti le regole UE sulle emissioni industriali (IPPC), con gravi conseguenze per la salute pubblica e l’ambiente.
L’UE sottolinea, inoltre, come al nostro Paese fossero già stati lanciati avvertimenti e la Commissione avesse concesso tempo in abbondanza per migliorare la situazione. I dialoghi con Bruxelles relativi all’impianto siderurgico tarantino sarebbero iniziati, infatti, già nel 2012. Senza contare la procedura di infrazione del 2008 concernente centinaia di stabilimenti industriali che sull’intero territorio della Penisola operavano senza le necessarie autorizzazioni ambientali previste dalla direttiva IPPC sulle emissioni. Lo stabilimento di Taranto ha ottenuto un’autorizzazione IPPC solo nel 2011, e l’aggiornamento del 2012 ha ritenuto il permesso inadeguato.
La procedura d’infrazione appena avviata prevede la messa in mora dell’Italia e la richiesta di una risposta nazionale entro sessanta giorni. Ora Roma deve quindi suggerire soluzioni efficaci e risolutive per una vicenda particolarmente delicata dal punto di vista sociale ed economico, oltre che ambientale. Il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, nei giorni scorsi, ha già illustrato all’Esecutivo di Bruxelles come il governo abbia deciso di ricorrere al commissariamento dell’azienda, poiché la bonifica intrapresa nel 2012 non aveva dato risultati. Ciò significa la stesura di un piano di risanamento e il relativo stanziamento di fondi.
I dati relativi al numero di infrazioni ancora aperte a carico del nostro Paese sono imbarazzanti. Con 106 infrazioni è lo Stato UE ad avere il più alto numero di procedimenti ancora pendenti. Il primato assoluto, per altro, è raggiunto proprio in materia ambientale, con 29 infrazioni – quasi il 30% del totale! Nella maggior parte dei casi perché la normativa non è stata messa in atto secondo gli accordi comunitari.
La vicenda dell’Ilva non è quindi che l’ultima prova di una gestione ambientale miope e disinteressata che l’Italia si trascina incurante da tempo. Lo stesso triste primato lo aveva, infatti, raggiunto anche nel 2006.
Ma come viene punita l’inadempienza di uno Stato Membro? Prima di presentare ricorso alla Corte di Giustizia, la Commissione Europea avvia un procedimento amministrativo detto appunto “procedimento d’infrazione”, ossia un pre-contenzioso. È il momento in cui si tenta di indurre lo Stato membro a mettersi volontariamente in regola con il diritto dell’Unione. Questa fase si articola in più tappe. La prima, cui può seguire un periodo di indagine, è costituita dalla “messa in mora”. Lo Stato deve comunicare, entro un termine prefissato, le sue osservazioni sul problema di applicazione del diritto dell’Unione riscontrato. La seconda tappa è costituita dal “parere motivato”, nel quale la Commissione esprime il suo punto di vista sull’infrazione e crea i presupposti per un eventuale “ricorso per inadempimento”. Il “parere motivato” espone dettagliatamente i motivi per cui lo Stato è inadempiente. Infine, la presentazione di un ricorso alla Corte di Giustizia apre la fase del contenzioso vero e proprio.
Delle 29 infrazioni aperte notificate al Ministero dell’Ambiente, 15 sono situazioni di “messa in mora”. Si va dalla protezione delle acque, alla caccia, all’inquinamento acustico agli uccelli selvatici; passando per i rifiuti pericolosi come mercurio, cadmio, piombo, finendo all’impatto ambientale dell’aeroporto di Malpensa. 9 sono, invece, i “pareri motivati” concernenti la prevenzione e riparazione del danno ambientale, l’acqua, la bonifica di un sito industriale nel Comune di Cengio (Savona), i rifiuti delle industrie estrattive, le discariche, la qualità delle acque di balneazione, i rifiuti di pile e accumulatori, la gestione dei rischi di alluvioni e le emissioni industriali. 4 i “Ricorsi” in cui l’Italia è coinvolta su temi come i sistemi fognari, le discariche abusive – compresa quella di Malagrotta nel Lazio – e l’emergenza rifiuti in Campania. Una sola la Sentenza definitiva riguardante il trattamento delle acque reflue urbane.
Un vero e proprio bollettino di guerra che tocca praticamente tutti i campi della politica ambientale europea. Se non si prenderanno provvedimenti l’Italia continuerà ad essere esposta al rischio di pesanti sanzioni economiche, qualora il Paese sia condannato dalla Corte di Giustizia. A poco forse servirà l’idea del Commissario Europeo Potocnik di istituire una sorta di task force di esperti che possa dare il proprio contributo nell’analizzare le migliori soluzioni per rispondere alle numerose emergenze ambientali che stritolano il Belpaese. Anche se il Ministro per gli Affari europei Enzo Moavero assicurava, pochi giorni fa, che sarebbe stata presentata, a breve, una “legge bis” per far fronte a tutte le procedure. Ma ora, con la crisi di governo, che succederà?
E soprattutto: quanto costano alla collettività tutte queste inadempienze in materia ambientale? E quanto potrebbero costare al contribuente se andassero, anche solo in parte, a sanzione? La politica monopolizza spesso la discussione mediatica intorno a numeri “insignificanti”, come l’IMU o la copertura di un miliardo che sarebbe stata necessaria per scongiurare l’innalzamento dell’IVA al 22%. Ma quanti miliardi di euro si nascondono nelle pieghe sconosciute dell’evasione ambientale? Greenews.info cercherà di documentarlo nell’inchiesta #evasoriambientali.
Beatrice Credi